Chi sono
Sono nato a s. Giovanni Rotondo, di domenica mattina. Una “indovina” vicina di casa disse che sarei stato un impiegato del Comune. Mia madre diceva che non volevo mai fare quello che mi chiedeva. In seconda elementare rubai più volte i soldi a mia madre per andare a cinema (Arena S. Lorenzo) e portarci i miei amici di via IV Novembre. Le scuole elementari in campagna, poi il collegio dei Salesiani. Le scuole superiori a Manfredonia, la laurea a Bari con una tesi su Maine de Biran, filosofo tra illuminismo e Romanticismo. Passioni che continuano. Nella giovinezza esperienze di lavoro in campagna (raccolta delle barbabietole e poi del pomodoro), ma anche stare insieme: una squadra di calcio (non avevamo nemmeno le scarpe, ma vincemmo un torneo tra le borgate agricole) e poi la sera si raccontava, i film, l’amore, ma, sotto il cielo stellato del Tavoliere, la storia dell’universo affascinava. Lavoro anche all’estero. A Kalsruhe, in Germania. Lì ho vissuto il dramma della non conoscenza della lingua. Uscivo la sera tardi con un altro amico, emarginato come me, solita birreria: “svai bier und svai glass”. Ho fatto il servizio militare come ufficiale di complemento. Gli ultimi sei mesi al CAR (centro addestramento reclute) di Secondigliano (Napoli). Comandante di un plotone di circa 100 uomini, che bisognava “inquadrare”. Venivano da tutte le regioni, con un livello di istruzione bassa. I bersaglieri dovevano solo correre. Alcuni con problemi di giustizia. Il comandante della caserma si meravigliava: Mai un biglietto di punizione! Il segreto? Solo mettermi insieme a loro. Se correvo io, dovevano farlo tutti.
Gli anni di Monte S. Angelo. La mia generazione è stata fortunata. Io avevo diverse possibilità di lavoro. Insegnante di italiano e latino al Liceo classico di Monte S. Angelo. Fu una scoperta positiva. Introdussi novità? Era solo buon senso: leggere direttamente i testi, stimolare a giudizi personali. E poi l’uso della biblioteca, la scuola aperta al pomeriggio, la “drammatizzazione” delle cose studiate. In quegli anni si aprì una collaborazione con i giovani dei gruppi “extraparlamentari” e la possibilità di operare in una parrocchia, guidata da giovani frati: teatro (Garcia Lorca), cineforum (film sul Sud, la donna…), e un lavoro di doposcuola, con una indagine casa per casa e la scoperta del triste fenomeno delle vedove bianche. Un periodo che terminò con il referendum sul divorzio, quando i frati vennero trasferiti (si erano schierati un po’ troppo).
Anni settanta a Manfredonia. Nel frattempo il matrimonio, i figli… Al Liceo scientifico per tanti anni e l’esperienza sindacale, molte attività con gruppi giovanili. Sempre a difendere l’esercizio della critica e sempre il rifiuto netto della violenza. Una esperienza collettiva. Molti giornali al ciclostile fondati in quegli anni: il pellerossa, Unità popolare, Speciale scuola, Notiziario dei lavoratori… Poi il teatro politico: La resistenza continua; Processo al disoccupato; Tutti a scuola in fila per tre; Mistero buffo (in dialetto montanaro). E la radio, una delle prime in Italia, messa in piedi nei giorni in cui moriva Pasolini: Radio Gargano Democratica. Funzionò solo qualche mese. Poi alcuni sostenitori legati al PCI si ritirarono “senza preavviso” (tanto non c’era futuro per le radio private! dicevano), lasciandomi con qualche debito.
Alla fine degli anni settanta scrissi L’arsenico e l’ulivo (il primo titolo era “lo scoppio). La scuola era sempre al centro e tanti erano i piccoli esperimenti per non annoiarmi (e per non annoiare). Non mi sono perso una occupazione (o autogestione, cogestione, lezioni alternative…). Nella scuola al pomeriggio, con la biblioteca aperta, il cinema sempre, ci stavo volentieri, ci portavo anche i miei figli piccoli. Le pellicole arrivavano dalla Sanpaolo di Bari, e sempre c’era il timore che non giungessero in tempo. A fine anni settanta uscii dal sindacato e rifiutai di entrare nella segreteria del partito comunista. Mi dispiacque per i “compagni” che lasciai. Nulla di personale. Non sopportavo più il linguaggio, le ripetizioni delle stesse cose, le analisi vecchie…
Gli anni Ottanta. L’incontro con un parroco che costruiva una nuova parrocchia. “Ho un gruppo di giovani…”. Iniziai con il teatro e con grandi opere: Processo a Gesù, Al Dio ignoto, Annuncio a Maria, Processo a Shamgorod… Opere complesse, molti personaggi, tanto entusiasmo. E poi incontri, convegni, cineforum… Il vescovo Vailati mi volle nella segreteria del Sinodo. “Io sono laico, Eccellenza!”, dissi. “Anch’io lo sono” fu la risposta. E gli atti del Sinodo sono ancora lì, in attesa. Attuali più di allora.
Alla fine degli anni Ottanta, l’Università della terza età. Accettai la direzione dei corsi, perché mi piaceva lo spirito di “leggerezza”, le lezioni si chiamavano “conversazioni”. Una esperienza che è durata oltre 25 anni. Poi l’incarico nella scuola superiore di grafologia a Foggia di Storia e antropologia della scrittura e successivamente anche di Epistemologia delle scienze umane.
Infine l’incontro con gli Scalabriniani: l’associazione interetnica migrantes (AIM), il giornale le radici e le ali, la scuola di italiano, i racconti di quelli che arrivavano, il cinema africano, i meeting internazionali di Loreto, il libro Immigrati a Manfredonia, i campi di accoglienza.
Anni Novanta. Scrivevo su vari giornali: I protagonisti, Elpis, Il Corriere del Golfo, Percorsi grafologici… Il vescovo D’Addario mi chiamò a dirigere il settimanale diocesano del quotidiano Avvenire e l’Ufficio delle Comunicazioni sociali. “Poche notizie religiose. Rare le fotografie del vescovo”. “E’ quello che voglio”, mi rispose il vescovo. Man mano si creò un gruppo vivace e diversificato. Le pagine settimanali sull’Avvenire da una divennero due, e tanti gli opuscoli: I percorsi del giubileo, percorsi dell’estate, sull’arte della politica… Molti si affacciavano in quello sgabuzzino a fianco della Cattedrale. Varie esperienze di cineforum, decine i convegni e gli incontri: la televisione e i bambini, televisione e violenza, la lettura e l’immaginazione, le parole e il sacro, la comunicazione interculturale. E sempre la scuola, cercando di capire i cambiamenti: fui responsabile del progetto giovani, referente del progetto qualità, collaboratore alla presidenza per un quindicennio. Anni intensi, un clima vivace, di discussione e di confronto, tra tutti i docenti.
Assessore anomalo? A fine 0ttobre 2003 il sindaco di allora mi chiese di divenire assessore ai Servizi sociali: “Ho bisogno di te”, mi disse. C’era l’attenzione della Commissione antimafia e si voleva dare una svolta. Mi disse di scegliermi dei collaboratori esterni (allora si poteva). Decisi di lavorare solo con le risorse umane interne. Mancavano 16 mesi alla fine del mandato. Molte cose in poco più di un anno: progetto di accoglienza dei rifugiati, coordinamento dei quartieri, forum giovani, consulta donne, servizi da ripensare (asilo nido e domiciliarità), e soprattutto il primo piano sociale di zona. Elaborato con le sole risorse interne dei quattro comuni. Una esperienza di collaborazione e di lavoro collettivo entusiasmante, che continuò successivamente. Fui confermato per altri due mandati con sindaci diversi. Dieci anni di lavoro amministrativo. Ho fatto il 50% di quello che avevo in mente. Ne parlerò in un libro che uscirà a fine anno. Assessore anomalo? Non so perché qualche dirigente ha detto questo. Forse perché arrivavo in ufficio prima di loro? Perché non chiedevo mai trattamenti di favore per alcuno? Non ho mai chiesto un euro di rimborso spesa? Perché avevo creato una modalità di lavoro di gruppo e insieme si operava e si programmava?…
E ora che faccio? Ora c’è questo blog, richieste di collaborazione di qualche giornale, scrivo di varie cose. Incontri frequenti e la cura di nuove associazioni. Le cose che ho scritto continuano a essere richieste e lette: “L’arsenico e l’ulivo”; Chi ha bruciato quel portone …; Torre di re; Dialogo sulla morte; SipontoManfredonia – storia di una città del Sud; Colloquio di Lorenzo con la madre…
La curiosità e la voglia di capire mi accompagnano sempre. Quando incontro gli studenti di un tempo, i figli che vengono da lontano, i giovani e quelle persone che hanno intrecciato un pezzo della vita con me (non ultime coloro che lavorano al Comune)… sono contento se scorgo in loro ancora curiosità e avventura.
E poi? E poi. Poi c’è l’aldilà. Di cui ho una mia idea che prima o poi racconterò.