Ucraina – Palestina. Ripulire le parole, per trovare un filo e un senso in questi tempi tristi.

CULTURA

Tutti ricordano “le invasioni dei barbari” studiate a scuola. Un capitolo semplice, chiaro… Si distinguevano bene chi erano i buoni e chi i cattivi.

I barbari. Popoli rozzi, orde voraci che invadevano e distruggevano la bellezza italica. Ho scoperto poi che in Germania quello stesso capitolo di storia si chiamava: migrazioni di popoli. Due parole e due immagini che continuano ad abitare il nostro mondo. Noi le chiamiamo migrazioni e sotto sotto pensiamo a invasioni di nuovi barbari, che portano tutto i mali immaginabili. Danno origini a fenomeni politici enormi (i nazionalismi), se è vero che sono alla base del consenso ai partiti di estrema destra, e anche della vittoria di Trump. Un diplomatico qualche anno fa (pensando alla fine dell’impero romano) disse: “L’Europa sarà sempre più una fortezza assediata con i barbari che premono ai confini dell’Impero”.

Quel periodo della storia non è stato mai studiato, per cui dalla fine dell’Impero romano si passa al “risveglio” nei primi secoli dell’Anno Mille. Manzoni, che cercava fonti per la sua tragedia “Adelchi” (principe longobardo), concludeva che “un’immensa moltitudine che passa sulla terra, senza lasciarvi traccia, è un triste importante fenomeno“. Quasi un millennio, un periodo che, scavando tra pietre e parole, ci accorgiamo che è stato una fucina di cambiamenti. Sono state poste le basi della cultura europea (classicismo, cristianesimo, ‘cultura’ barbarica). Grandi imperatori (Teodorico, Carlo Magno, gli Ottoni…) che hanno cercato di riunire i popoli… Lingue che si trasformavano, con percorsi non rettilinei, trascinando residui vischiosi, scorie… parole e suoni nuovi… E poi monasteri, amanuensi e recupero dei classici, coltivazione della vite e dell’ulivo, costruzione di oggetti e case. Le cattedrali. Notre – Dame. Una nuova concezione della donna e dell’uomo.

Il mondo romano era sempre in guerra. Non amava le guerre civili, fratricide, e i contendenti (finti riluttanti) si addossavano reciprocamente la responsabilità. Anche Putin non nomina la parola guerra. Sa che quella con l’Ucraina è una guerra civile, come tale è innominabile. Parla di “operazione speciale”, per evitare l’estensione dell’infezione. Non è stato così. Dopo un paio di mesi partono i negoziati in Turchia. Si era vicini a un accordo. Poi i leader europei, Biden, Nato intervengono. “Si deve combattere fino alla vittoria!”. Di pochi giorni fa (28 Novembre) è una risoluzione della Ue: Armare e riarmare l’Ucraina che ha la missione della salvezza dell’Europa. Sono passati quasi 3 anni, e nessuna parola sui corpi dei soldati al fronte. Le parole negoziato, tregua, cessazione del fuoco, trattativa, pace sono impronunciabili. La storia di questo lungo conflitto ha offerto momenti in cui si aprivano altre chance. Chi doveva non si è posto la domanda giusta: , “Quale re, partendo in guerra contro un altro re, non si siede a esaminare se con 10.000 uomini può affrontare chi gli viene incontro con 20.000?” (Vangelo di Luca)

La Palestina è il luogo dove le parole finiscono nel fango e nella polvere e non riusciamo a filtrarle e ripulirle. Genocidio o no? Ci prova Liliana Segre e dice che non si può parlare di genocidio per Gaza, ma di crimini di guerra e contro l’umanità, commessi sia da Hamas che dall’esercito israeliano. “L’abuso del termine genocidio significa produrre una crepa in un argine…”. L’argine è l’antisemitismo. Per esserci genocidio ci deve essere una pianificazione per l’eliminazione di un gruppo o etnia, con l’assenza di guerra. A Gaza non c’è genocidio, come non si parla di genocidio nel bombardamento di Dresda o con le atomiche a Hiroshima e Nagasaki.

A Gaza, però, c’è una strana guerra. Asimmetrica? Si tratta di due realtà incommensurabili. Un esercito potentissimo e una popolazione inerme. Crimini di guerra, forse pulizia etnica, domicidio… Tutti i genocidi sono diversi e hanno durato temporale definita. Si staglia sulla vetta dell’orrore la shoah non solo per via della pianificazione, ma soprattutto per un sistema legislativo (leggi razziali) che crea una condizione di terribile subumanità, con tutto il corollario di proibizioni, deportazioni, campi di concentramento… sparizione totale.

Se si vuole, non chiamiamolo genocidio. Se dovessi accostare quanto avviene a Gaza penso a quello accaduto ai nativi americani. Per la durata almeno. Da oltre 50 anni, nel sonnambulismo collettivo, c’è un’occupazione militare ingiusta. In Palestina vi è una strage quotidiana dei corpi, un controllo della vita, del cibo, dei movimenti, l’esercizio arbitrario della violenza, con bombe che possono cadere sempre… Intorno un’oscurità preparata con l’uccisione mirata di giornalisti, volontari…

Segre parla di “compiacimento”, “libidine”, “rabbioso sfogo liberatorio” contro lo stato ebraico. Ieri ho incontrato un’insegnante di scuola elementare. “Parlate della guerra?” “E’ inevitabile, i ragazzi chiedono, si domandano perché… in modo insistente… Ho chiesto il significato di alcune parole, tra cui genocidio, e una bambina ha scritto che non lo sapeva e che bisogna chiederlo alle madri, ai bambini mutilati, a quelli che hanno fame…”


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