Manfredonia rancorosa e bloccata. Eppure aperta e conviviale, capace di slanci inaspettati.
Ricevo una telefonata da Rimini. “Paolo ho letto (sul Fatto quotidiano) che a Manfredonia c’è una fabbrica in crisi e una cooperativa di dipendenti che sta tentando di gestirla. Ne abbiamo parlato nel circolo del Pd. Qualcuno sostiene che nel Sud si attende tutto dall’alto. Questo esempio dice il contrario. Mi puoi dare delle notizie?”
Sono preso alla sprovvista. Una notizia importante che mi è sfuggita. Vengo a sapere che i dipendenti hanno impegnato risorse proprie, ma c’è bisogno di un ulteriore sforzo e stanno provando con una raccolta fondi. Leggo la notizia su un sito web e i commenti… infastiditi e spiazzati. L’iniziativa non è osteggiata… ma perché gli assessori non devolvono l’indennità? Perché il Comune non aiuta? L’amministrazione che fa? In giro nessuno (o quasi) sa… tutti si lamentano, per i cani, la sporcizia, il futuro, la sanità (e l’ospedale), i “B e B” nati come funghi… tutti ce l’hanno con qualcuno o qualcosa.
E’ uscito il rapporto annuale del Censis che si “inventa” ogni anno un profilo dell’Italia, usa sempre un linguaggio nuovo e creativo. Italiani camaleonti, mutanti, pendolari, sospesi, in attesa. Il guru del Censis è stato ed è Giuseppe De Rita, che riesce a trovare tracce di comunità anche quando non ci sono.
Ho sempre trovato un legame tra quello che dice il Censis per l’Italia con Manfredonia. Parla di borghesia inesistente (mentre c’è un molle ceto medio), dell’esaurimento della disintermediazione (populismo) e del riemergere dei corpi intermedi (sindacati, partiti… )… Come non pensare a Manfredonia? Qui la società resta sfilacciata… Associazioni, reti, parrocchie, ci sono, dicono di avere tante idee, però il Comune non le sostiene. Il Censis quest’anno ci racconta un paese che mostra una grande ignoranza e che ha paura (immigrati, guerre, futuro)… Stavolta Manfredonia si differenzia: un gruppo di ex-dipendenti (31 famiglie interessate) ha il coraggio di rischiare, riprendersi la propria fabbrica (l’ultima del contratto d’area!). Non è una notizia di tutti i giorni. Ed è una svolta per questa città. Il coraggio consiste nel superare la paura non nel non provarla.
Come iniettare un pizzico di coraggio in una città che sembra bloccata, e ha bisogno di uscire dall’angolo? Si parla di un piano della cultura e del Pnrr. Due punti basilari, non per pensare alla città, ma per ripensarla. I “produttori di cultura” sono tanti. Bisogna metterli insieme e metterli alla prova. Per raggiungere non una meta, ma iniziare un cammino, aprire un cantiere che deve rimanere sempre aperto. Sperimentare e correggersi…
Si tratta di studiare e partire da lontano, iniziando a far rivivere luoghi e centri realizzati.
Veniamo da una stagione euforica di scavi archeologici. L’anfiteatro non c’è, come la Siponto romana, ma l’interesse nel territorio è stato notevole. Si avverte la presenza di una nuova cittadinanza che fa della cura del patrimonio culturale, della storia, del paesaggio un impegno prioritario e personale. L’identità di un luogo è la propria identità. Marina Mazzei ha creato il Parco di Siponto… e poi è stato abbandonato. La Basilica di Edoardo Tresoldi è stata tirata fuori dal cappello a cilindro e doveva essere accompagnata da installazioni digitali… Ogni volta entusiasmo che poi si fermava… Forse l’amore (e la cura) scemava per le presenze esterne non rilevanti? Non penso alla cultura con la C maiuscola, che non vuole sporcarsi le mani con l’ottica utilitaristica. Ma cultura e turismo sono due cose diverse e distinte.
Manfredonia una “città incomprensibile”, con momenti di indolenza, passività, adattamento, altri di irrequietezza, vivacità, fermenti creativi. Questo si disse in un dibattito pubblico, e nacque l’idea di una “ricerca” per capirci qualcosa. A guidarla, nel 2007, l’antropologa Patrizia Resta (Università Foggia). Fin dall’inizio definizioni e immagini interessanti: città cerniera, di terra e di mare, ponte tra Gargano e Tavoliere. La ricerca e la pubblicazione che ne seguì non definisce l’identità, descrive i comportamenti, interpreta le scelte quotidiane, racconta un’esperienza di lavoro. Individua nel fattore “O” una linea interpretativa: “O” come Opposizione, osmosi, ostentazione.
Opposizione: relazioni conflittuali tra i diversi settori sociali, marineria e città, tra i diversi campi della marineria, tra la fabbrica e gli altri. Osmosi: i vari settori sono porosi, aperti a nuove esperienze, i figli studiano e non si legano alle attività paterne. Ostentazione: esibizione del benessere raggiunto? Status symbol? Riscatto dalla povertà? Si abbellisce la “tana” e si trascura la strada, la piazza! Ed è un’anomali che pesa.
Queste linee interpretative aiutano a capire dinamiche ancora oggi presenti, le forme di aggregazione, le modalità di vivere i cambiamenti? Anche nei conflitti, dicono i ricercatori, lo spazio sociale si mantiene aperto e dinamico, e i sentimenti di convivialità e accoglienza non vengono intaccati o rifiutati. “Manfredonia partecipa alle dinamiche globali in atto, eppure conserva un suo tratto originale”.