Gli adolescenti tra la scuola (che odiano) e “il mondo” che cambia in modo vorticoso.
Gli adolescenti hanno un rapporto difficile con la scuola. Ad essi sono offerti contenuti culturali senza domandarsi se suscitano interesse, curiosità.
In classe parlano tra loro, “mormorano”, manifestano chiaramente fastidio e noia. Gli insegnanti hanno difficoltà a governare la “confusione” e non lo nascondono. Il piacere, l’incantesimo per lo studio? Pare che la scuola evochi solo sofferenza, indifferenza.
Ragazze e ragazzi non riescono a stabilire più una relazione con i docenti. Il registro on line ostacola la possibilità di mantenere una separazione tra docenti e genitori, scuola e famiglia. Oggi anche quelli che avevano salutato positivamente l’innovazione dicono che occorre tornare indietro. Fino a pochi anni fa gli alunni riferivano ai genitori, si lamentavano dei docenti… i genitori avevano a disposizione colloqui generali mensili, settimanali, appuntamenti su richiesta. Per alcuni docenti erano un fastidio… ma era un momento in cui si interloquiva, si parlava. I colloqui con i genitori non erano aridi, si usavano le parole, ci si guardava in faccia. Il registro elettronico è una modalità da “buco della serratura”. La scuola è l’unica istituzione che è come un palazzo di vetro. Alcuni parlano di trasparenza, verità… e invece si perde spontaneità, teatralità, complicità nella relazione docente – allievo.
Non mi piace la figura dell’insegnante – psicologo. Ma da docente ero partecipe di “segreti”. Ero latore di messaggi degli alunni e dei genitori. Così una ragazza che rientrava tardi, il sabato: “Ma lei non sa, prof, quanto è triste rientrare a casa e non trovare nessuno!”. O quando una ragazza mi disse che era incinta… Non ne aveva parlato con la collega del progetto salute, né riusciva a dirlo alla madre… E poi le conflittualità familiari, i ragazzi contesi. Per essi, anche adolescenti, la separazione è sempre una tragedia. “Cancellare il divorzio?” No. Semplicemente non banalizzare, sapere che per i figli è un lutto, una tragedia. Ed occorre aiutarli a uscire. Mi sforzavo di praticare l’ascolto passivo, in silenzio, nei corridoi, durante le assemblee, nella sala della biblioteca. Senza guardare l’orologio e resistendo alla tentazione di consigliare e indirizzare. Mi rendevo conto che la fiducia è qualcosa di sfuggente, e non so ancor oggi come si possa acquistare o perdere.
“Certe cose dovremmo studiarle ora!” Mi dice qualche ex alunno avanti negli anni. Studiare è faccenda emotiva e affettiva, qualcosa di complicato. Solo con il tempo si comprende che lo studio è un modo per dare significato al mondo. Gli adolescenti non riescono a immaginare un futuro in cui quelle conoscenze possano prendere vita. Essi vivono un terremoto emotivo, cercano uno spazio per sé, ma hanno bisogno delle relazioni, in cui rispecchiarsi. Desiderano star soli e sentire la presenza di qualcuno (forse i genitori) che li segua da lontano. Con discrezione e silenzio. E invece trovano giudizi, raccomandazioni, aspettative… Lo spazio interiore è spesso invaso da adulti ansiosi e impauriti dalle loro domande e dal loro “mutismo”.
Gli adolescenti si incontrano fuori della scuola, in gruppo, sono visibili nella città, in un angolo, un pezzo di villa, un bar, pizzeria… in un disordine apparente di parole, racconti, voci. L’adolescenza (un’età che si sa quando inizia e non quando finisce) è un crogiolo, un momento in cui bisogna inventare se stessi. La scuola può e deve fare in modo che tutti possano inventarselo. Gli educatori sono ex adolescenti, devono ricordare questa fase dell’età, ma al loro tempo essi cambiavano e il mondo stava fermo o si muoveva lentamente.
Gli adolescenti cambiano in un mondo che giorno per giorno non è più lo stesso, disorienta anche gli adulti. I docenti sono distanti anni luce e devono compiere un grande sforzo per comprendere ragazze e ragazzi, che dovranno scoprire i mestieri di domani, nuove forme di amicizia, di amore, di famiglia, di aggregazione e comunicazione. Gli amici sono fonte di informazione e di scambio, l’ambiente emotivo su cui scaricare ansie e paure, segreti e complicità.
Che fare? Uno sguardo su di essi deve correre veloce, genitori ed educatori devono osservarli, intervenire, porre regole, ma senza la mania della definizione o l’allerta del pericolo, e provare a starci insieme, fare insieme delle cose. Occorre lavorare per stabilire rapporti paritari: rispetto reciproco, pratica dell’ascolto, recupero delle buone maniere. La scuola deve prevedere modalità di partecipazione e coinvolgimento nella organizzazione della vita scolastica. E la città? Le relazioni positive a scuola sono un segno delle relazioni positive nella città. Una volta c’era a Manfredonia, il Patto della città… Perché è tutta la città che è chiamata a un ruolo educativo.