Resta solo la Processione. Ma la chiesa è assente nella società. Ed è una perdita per tutti.

SOCIALE

A Manfredonia, la grande Processione, capace di abbracciare in cerchio l’intera città, è in calo. Meno donne, meno adulti.

Ha destato sempre stupore il numero e l’eterogeneità sociale e ideologica del popolo partecipante alla Processione o alla “sfilata”. Devozione, appariscenza, richiesta d’aiuto… oppure bisogno di continuare a stare dentro una tradizione? Un radicamento nato dal racconto di generazione in generazione, un’esperienza vissuta nell’infanzia e che porta gli emigrati, quelli partiti più di un secolo fa, a trasmetterne ricordo e nostalgia a figli e nipoti.

La Processione con il “quadro della Madonna” percorre le vie, si ferma davanti ai luoghi di cura, a volte qualche sosta breve… niente paura, non la casa di un mafioso, ma di una persona al termine della vita. Molti alla processione preferiscono la “visita alla Madonna” in Cattedrale, da soli, e raccogliersi davanti a quello sguardo mite, premuroso, interrogante. Colpisce anche chi non crede. Una moltitudine di sentimenti, si va per chiedere e si resta muti di fronte a quegli occhi che intuiscono, perdonano, esortano a rivedere il proprio cammino.

Ma il modo cattolico come si orienta?”. Ancora questa domanda nelle ultime elezioni. Esistono persone (politici soprattutto) che pensano a una Chiesa capace di orientare. La chiesa è assente nella società. A livello locale e nazionale.

La chiesa oltre ai giovani, sta perdendo le donne. Una decina d’anni fa le quarantenni e ora le ventenni. Le giovani donne cattoliche nel 2013 superavano il 60%, dieci anni dopo scendono al 33%. Alle donne si chiedono impegni nella liturgia e nella pastorale. “Noi entriamo, però, dalla porta di servizio!”. Chiesi diversi anni fa alla responsabile diocesana dell’USMI (Suor Lina Notarangelo), cosa pensasse del sacerdozio alle donne. ”Sacerdozio no, diaconato sì… Chissà se riusciremo a vederlo!”. Questa suora è morta due giorni fa, e il diaconato femminile è ancora lontano. La forza della chiesa sono le donne, quelle che lavorano e, da noi, soprattutto le casalinghe, attive nell’educazione dei figli, la cura… Non vedono in parrocchia spazi per parlare dei cambiamenti di questi anni, dei disagi familiari, coniugali… Vorrebbero una chiesa più misericordiosa, dialogica, operativa. Insomma parole semplici e azioni.

Colpa dei social? E’ il peso della parola che si è perso. Eppure il modello – vangelo resta inimitabile; invece si preferisce rincorrere interpretazioni sottili e nuove esegesi. I temi dei teologi non sono quelli che interessano la gente, e, nelle parrocchie, continua a esserci una cultura alta e una del popolo.

Nella storia italiana la figura del parroco ha avuto una notevole importanza. E’ stato nell’Ottocento e Novecento mediatore tra alta e bassa cultura. Con la Rerum novarum la parrocchia è la roccaforte, i parroci “soldati di Cristo“. Poi viene il Concilio e la parrocchia diviene la “fontana del villaggio”. Un’immagine che fu al centro del Sinodo diocesano di trenta anni fa. Un Sinodo vivace e discusso (soprattutto per aspetti riguardanti la liturgia e l’evangelizzazione).

Si perdono i ragazzi dopo la prima comunione. Ed è un problema serio trovare catechisti, catechiste (normalmente docenti della scuola primaria). Un parroco tentò di fare, a Manfredonia, dei corsi ai genitori con incontri “poetico – filosofici”, per parlare di Dio, dare cioè un senso alla spiritualità religiosa. Cadono cresime, e matrimoni in chiesa. Restano i funerali, l’unica forma di evangelizzazione per i “lontani”. Visti con un certo timore dai sacerdoti; è difficile parlare della morte!

I sacerdoti non sono militanti e sono privi di immaginazione“. “Non rendono vivo e attuale il messaggio evangelico“. “I sacerdoti dovrebbero essere intellettuali impegnati nel dibattito pubblico, nella discussione di idee, dell’etica, degli stili di vita“. Pareri, di livello troppo alto, espressi sul quotidiano Avvenire. Diciamo, piuttosto, che i parroci devono occuparsi prioritariamente della comunità. Curarla è un compito arduo. L’omogeneità, infatti, non può esserci. E allora, quanta diversità – conflittualità si può sopportare? Ed ancora, quale il senso e il valore della liturgia in un universo non religioso, e segnato da una domanda di spiritualità?

C’era un “Sentire cattolico“. Un sottofondo un po’ perbenista, moralista… caritatevole, disposto all’aiuto… voci e parole correnti che si esprimevano nei luoghi informali e si confrontavano con altre voci, diverse e in “concorrenza”. Si alimentava un bel dibattito diffuso nella città. Oggi, invece, c’è solo rumore di fondo: sfiducia, paura, poca disponibilità all’impegno, farsi i fatti propri. C’è una distanza tra il messaggio del Papa (e vescovo) e i fedeli. I sacerdoti mostrano difficoltà a impostare un nuovo “sentire cattolico” sulla pace, il rispetto dell’ambiente, i migranti, la legalità quotidiana.

La fede semplice, sentimentale (quella della processione) è importante. Non è un tappabuchi. C’è però bisogno di una fede pensata, che deve divenire cultura e risvegliare passione per la città. La fragilità della cultura cristiana e della comunità nascono dalla rinuncia all’interesse per il mondo, che non si vuole cambiare. Ci vogliono comunità, gruppi, laici, insegnanti di religione che azzardino percorsi originali, suggeriscano nuove esperienze. E non abbiano paura di sbagliare.

La chiesa ha bisogno di cultura ma è anche vero che la cultura e la società hanno bisogno del punto di vista cristiano. Come si può parlare oggi di cinema (film di Ferrara su Padre Pio), teatro contemporaneo, Dante, Dostoevskij… ed anche di Intelligenza artificiale, senza parlare di cristianesimo? Di cui oggi molti avvertono, con un po’ di malafede, il declino.

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