I vecchi e il potere, Biden e gli altri… E nessuno sa uscire bene di scena e pensare al futuro.

SOCIALE

Non è questione d’età… è pure questione d’età. Essere “a capo” significa avere prudenza, prendere decisioni ponderate, quelle che sono frutto di consultazioni e meditazioni… ma contano anche gesti, posture, parole, autonomia.

In paesi così popolosi di anziani, con tanti vecchi nei consigli d’amministrazione, in Enti vari, tra giornalisti, medici… non c’è stato nessuno che abbia difeso Biden. Si può essere critici con lui come presidente, ma è certamente malizioso soffermarsi sulle sue facoltà mentali, basandosi sul ritardo e l’inefficacia con cui rispondeva al suo aggressivo interlocutore. Ed era, comunque, più affidabile il travolgente Trump o l’impacciato Biden? E’ stato costretto ad una patetica autodifesa. Perché lui si percepiva “padrone di sé”. Il dibattito intorno al suo ritiro ha mostrato l’inerzia della politica: Biden non lo si critica per le sue scelte politiche, la scarsa autorevolezza con Israele, l’avventatezza con cui è scivolato dietro a Zelensky… ma per l’anzianità. Biden (nato nel 1942), Trump (1946), Netanyahu (1949), Putin (1952). Sono tutti vecchi, gli attori dei principali teatri di guerra. Si poi aggiungiamo la guida suprema dell’Iran Kameney (1939), il brasiliano Lula (1945), l’Indiano Modi (1950)… Solo su Putin ci si è sbizzarriti sulle sue malattie di ogni tipo, fisiche e mentali.

C’è tempo e tempo, dice la Bibbia. I Vescovi escono di scena a 75 anni, i cardinali non partecipano al conclave dopo gli 80 anni… in Cina, Mao (presidente, nonostante il Parkinson, fino alla morte nel 1976), lasciò spazio, negli ultimi anni, durante la rivoluzione culturale, all’intransigente e discussa moglie (Jiang Qing). Allora si affacciò l’idea di porre un limite nelle cariche apicali del Partito (70 anni), ma non se ne fece nulla.

“Decidiamo noi”, ha detto Jill Biden. “Noi chi?”, hanno chiesto polemicamente molti. Jill ha viaggiato molto negli Usa in rappresentanza del marito – presidente e ne ha influenzato le scelte. Quanto contano le moglie e le figlie? La storia americana (e non solo) è piena di first lady non decorative, ma sostenitrici morali, mediatrici (discrete e invadenti) tra élite e piazza.

“I Netanyahu in visita negli Usa”, così hanno intitolato vari giornali. Lei, Sara, più loquace e a suo agio del marito Bibi (75 anni). Si dice che abbia molta influenza su di lui, lo spinge a non mollare, a resistere alle proteste, difende il figlio Yair che dal 7 ottobre si trova a Miami e non rientra in Israele per combattere per il suo paese. Tutte le nomine passano da lei e così i licenziamenti. Ha uno staff e una portavoce. Proprio questa (Tzipi Navon) ha scritto su Facebook di scuoiarli vivi “uno per uno” e strappare le unghie ai responsabili del massacro del 7 ottobre, “conservandogli sino all’ultimo solo la lingua, di modo che possiamo godere delle loro grida, le orecchie, di modo che possano udire le proprie grida, e gli occhi di modo che possano vederci sorridere…” Analoga violenza con i traditori interni, quelli della sinistra israeliana (Siegmund Ginzberg, Il Foglio 13 luglio 2024)

Nessuno sa uscire decentemente di scena. Ci prova Re Lear, che, in procinto di spogliarsi a un tempo, “del governo, delle terre e d’ogni cura dello Stato”, chiede alle tre figlie quanto lo amano. Siamo nella prima scena, la mappa del regno è lì, la divisione in tre parti è definita. Parlano in ordine di età: Gonerella, Regana, Cordelia. Le prime due decantano ed esaltano il loro affetto verso il padre. La terza Cordelia usa parole sobrie, dice di amare come si conviene e come è giusto. Il vecchio Re trova arida quella confessione sincera, e la disconosce; la sua parte viene divisa tra le altre due. Il conte di Kent, suo consigliere cerca di dissuaderlo, sa che Cordelia è sincera. “Che fai, vecchio pazzo” dice, non piegandosi in modo servile alla maestà del re. Viene scacciato, si allontana in esilio, esprimendo disprezzo per le due figlie adulatrici e traditrici. I vecchi commettono lo stesso errore nel giudicare i figli, scacciando i buoni e preferendo ipocriti e malvagi. La cecità di Re Lear scatenerà lotte, guerre, follie. Un mondo impietoso, primordiale: la vicenda si svolge su una pedana di un’umanità, non liberata dalla belva, né (biblicamente) dal fango con cui siamo stati costruiti. Ed è ancora disgraziatamente così, il mondo intorno a noi.

Ci si lamenta dell’assenza di figure significative, di intellettuali lontani dall’agorà. Mai stati così silenziosi, così privi di idee e visioni… si sostiene. C’è chi pensa ai vecchi saggi: essi possono alimentare il dibattito pubblico, dice Cosimo Severo della Bottega degli apocrifi di Manfredonia. La trasformazione culturale di questi anni valorizza e incoraggia a esibire in pubblico le proprie emozioni, false o autentiche che siano. Il linguaggio pubblico è travolto come un fiume in pieno da confessioni, affermazioni… che portano in superfice stadi emotivi incontenibili: risentimenti, vendette, disgusto… Vedo due vie d’uscita. Raffreddare le emozioni, perché possano entrare nel discoro pubblico. E il dialogo, condizione basilare della convivenza civile, il massimo bene che la politica può offrire all’umanità. E questo nelle piccole contese locali e nelle guerre devastanti e senza fine.



Share on FacebookShare on Google+Tweet about this on TwitterShare on LinkedIn