Il meridionalismo scomparso. Rocco Scotellaro può indicarci la via per ritrovarlo.
Sono 70 anni dalla morte e 100 dalla nascita. “Poeta dimenticato”, disse Gigi Proietti, leggendo dei versi di Scotellaro nella cerimonia di inaugurazione di Matera capitale della cultura.
Poeta amato dall’attore romano e da Luchino Visconti, che chiamò il protagonista del film “Rocco e i suoi fratelli” (1960), proprio in sua memoria. La Lucania era, allora, al centro dell’interesse e dell’attenzione. Nel 1945 uscì il libro di Carlo Levi “Cristo si è fermato a Eboli”, e gli echi giunsero anche all’estero. Matera, i “Sassi”, la miseria, l’arretratezza culturale… Molti si interrogarono e agirono. La Riforma agraria, il movimento sociale e culturale di Olivetti, le ricerche antropologiche di De Martino… Rocco Scotellaro, nel 1946, a 23 anni, divenne sindaco socialista di Tricarico (Matera). Dopo due anni, la maggioranza di sinistra entrò in crisi per i nuovi schieramenti politici nelle elezioni del 1948. In quella campagna elettorale strinse amicizia con Carlo Levi e Manlio Rossi Doria, che rimasero colpiti dal suo modo di parlare e coinvolgere il popolo. Nel novembre del 1948 fu rieletto per la seconda volta sindaco. Poi una campagna diffamatoria (concussione, truffa…), processo, arresto (due mesi), infine assoluzione piena in appello. “Vendetta politica”, dice la sentenza. Si dimise da Sindaco nel 1950. Non solo per l’esperienza del carcere. In una “strana” autobiografia (L’uva puttanella) racconta la sua giornata da sindaco. “Ad ogni passo la gente mi fermava sulla strada, da uno passavo a un altro: – una cosa – una preghiera – un fatto importante – il certificato – il libretto di lavoro – il lavoro – l’elenco dei poveri – i medicinali – la lampada alla latrina – la tassa sul bestiame – il bilancio preventivo – l’orario della corriera – mancano 4 banchi – un’altra lavagna – il custode al cimitero – Tizio parla male di te – dammi un posto qualunque – quando si vuole si fa – la domanda l’hai messa a dormire…” E mia madre dalla finestra “neanche pace quando mangia“.
Era difficile essere sindaco, organizzatore sindacale e politico, assistente sociale. C’era assenza della società civile, e la strada da percorrere era quella della partecipazione. “E’ fatto giorno,/ siamo entrati in giuoco anche noi / coi panni e le scarpe e le facce che avevamo”. Sapeva che era l’ora della creazione della democrazia e spettava ai giovani dare il maggiore contributo, ma il riscatto non poteva esserci senza il loro ingresso nel mondo del lavoro, senza la coscienza della propria storia.
Dopo le dimissioni, fu “girovago” per tre anni intensi. A Roma lavorò per la Einaudi. A Portici all’Osservatorio di economia agraria di Rossi Doria. A Venezia nel 1950 in un convegno sulla Resistenza incontrò Amelia Rosselli, figlia di Carlo Rosselli, il fondatore di “Giustizia e Libertà”. Un sodalizio intellettuale e sentimentale intenso. Entrambi inquieti. In una lettera del 1952 Rocco le scrive: “comincia a occuparti di te occupandoti degli altri… Faremo un altro partito, già lo siamo, tanti membri sparsi” Il partito della giustizia umana, della pietà. Entrambi rifiutavano l’indifferenza rispetto a tutti gli eventi piccoli e grandi propri di una società ingiusta.
Nel 1952 si candidò alla provincia nel PSI. Negli appunti per la campagna elettorale indicava i temi da affrontare e sottolineava la diversità con DC e PCI. Lontano dalla visione d’uno Stato benefico e paterno, proponeva una politica meridionalistica moderna, piani di sviluppo locale e regionale, autonomia, formazione di una nuova classe dirigente.
Nel dicembre 1953 morì di infarto a Portici, a meno di 30 anni. Tanti persero un punto di riferimento. Amelia aveva 23 anni. “Voglio vivere a Matera… C’è l’amico morto ieri che tiene compagnia” “… Che ne è di me di te ora dopo la morte” “Rocco… mostrami la via che conduce / non so dove”. Una struggente cantilena per la morte di Rocco. “Contadini del Sud” divenne la “Bibbia” per Amelia, affascinata soprattutto dal linguaggio e dagli esperimenti di trascrizione della lingua degli analfabeti.
Poeta contadino? Una definizione ristretta. Scotellaro si interroga su come dare voce ai senza voce, come esprimere il diritto alla rivolta. “In modo forse più completo di altri s’era avvicinato all’ideale d’uomo che la gioventù della Resistenza conteneva in sé, impegnata sul fronte avanzato della lotta sociale e sul piano letterario e culturale” (Calvino). Cercò da intellettuale meridionale di mediare tra esperienza concreta di scrittore militante e amministratore di comunità che dovevano essere aiutate a riscattarsi. Non ha nostalgia di un mondo di cui percepisce la fine, e che non è immobile o lontano dai processi della storia.
Il “meridionalismo” e i dibattiti sullo sviluppo del Sud hanno accompagnato la storia meridionale del secondo Novecento. Sono state, però, le migrazioni ad avere sempre l’ultima parola. Prima verso l’estero, poi, nel miracolo economico, verso le città industriali del Nord, esodi che spopolavano vaste aree e sconvolgevano relazioni sociali, familiari… Ora le partenze continuano. Nel silenzio. Senza parole.
Le opere sono pubblicate dopo la morte: alcune già definite, altre “acerbe”: appunti, note, teatro (Giovani soli), racconti. A Matera per il centenario mostre e un convegno (Uno scrittore oltre la modernità). Rocco Scotellaro è attuale? E’ vicino e lontano, e potrebbe aiutarci a pensare vie di futuro.