Il giornale e la Bibbia. Possono ancora essere una bussola per orientarsi nel mondo?
Nel recente incontro sulla pace a Manfredonia, il vescovo Moscone, oltre a porre domande sulle cause della guerra, NATO e logica delle armi… Ha detto che occorre saper leggere una realtà complessa. “E abbiamo bisogno di aiuto!“
Per parlare di guerra e pace, e non solo. E’ difficile e complesso mettere insieme storia, geografia, geopolitica, paure, emozioni… E poi le svolte della UE, l’incapacità e la mancanza di volontà nel prevenire il conflitto, ed ancora le forme di resistenza e le possibili pratiche non violente. Discorsi non facili perché sono stati creati schieramenti e blocchi contrapposti e nei paesi occidentali si organizzano (con la guerra in pieno svolgimento) conferenze sulla ricostruzione, nella convinzione (ha detto la Meloni) della vittoria completa dell’Ucraina. Senza dubbi e senza pensieri per i costi umani.
Dal Concilio i cattolici hanno ricevuto l’impegno a leggere “i segni dei tempi“, a conoscere la realtà, interpretarla. Uno dei padri conciliari disse: “I cristiani dovrebbero avere in una mano il giornale e nell’altra la Bibbia”. Una affermazione a quei tempi coraggiosa, oggi ingenua e insufficiente. Il problema delle fonti è fondamentale. E il giornale allora (più di uno magari) era ritenuto affidabile. Nel passato si insegnava a leggere il quotidiano in classe, era una forma di educazione civica.
Nel ’68 gli studenti contestavano il Corriere della sera, perché non diceva la verità! Si erano improvvisamente accorti che le loro richieste ed esigenze non venivano correttamente riportate. I cristiani si accorsero che “i segni dei tempi” venivano colti diversamente dalle gerarchie, per cui era necessario creare comunità di base, e lì, insieme, animare gruppi di lettura, cineforum… Si parlava e si faceva “Controinformazione“.
Oggi conosciamo i pericoli della rete, e non ci fidiamo dei giornali, sappiamo che si usano tecniche raffinate per dare o non dare notizie. Si gioca senza scrupolo sulle omissioni, gerarchia e priorità delle informazioni. E’ un capitolo da studiare come in Occidente si è (o non si è) informato sul viaggio del Papa nel Congo. Un viaggio importante in un paese per il 95% cristiano, dove si combattono guerre nascoste e milioni sono i morti di una decolonizzazione che non finisce mai.
Non è sufficiente la voce del vescovo sulla legalità, sulla necessità di un rinnovamento culturale e responsabile. Dopo lo scioglimento per mafia in 4 comuni contigui (compreso il capoluogo), ci sono stati tentativi, nelle parrocchie, di incontrarsi, discutere… Si è “imposto” il tema della cittadinanza attiva, e cioè praticata, assaporata. Ma non si è sfuggiti alla modalità di chiamare persone a parlare, esperti, conferenze. Convegni e incontri disertati dai giovani.
C’è una frase del Guicciardini (1483 – 1540) che mi ha sempre colpito. “Spesso tra il Palazzo e la piazza è una nebbia sì folta, o un muro sì grosso, che non vi penetrando l’occhio degli uomini, tanto sa il populo di quello che fa il governo, quanto delle cose che si fanno in India”. La preoccupazione del vescovo di Manfredonia e l’invito a leggere la realtà riguarda la guerra, il cambiamento climatico, il mondo che verrà, ma anche ciò che è vicino: conoscenze, informazioni sulla città, sul territorio.
Servono gruppi di lavoro, permanenti. Le fonti? Ci sono giornali autorevoli sui temi delle dell’economia circolare e soprattutto sulla situazione del “terzo mondo”, perché vi scrivono missionari e suore, che in quei paesi operano. Si possono raccogliere testi, audiovisivi, analizzarli, leggere lo sviluppo del territorio, i progetti del PNRR, i migranti… Ci vuole preparazione? Il metodo don Milani: i più grandi guidano i più piccoli. Si può sbagliare certamente, ci potranno essere strumentalizzazioni… Rischi da correre, piuttosto che rimanere indifferenti di fronte all’avvilente situazione locale e al dibattito politico e culturale inesistente e inconsistente.
A Foggia (dove istituzioni importanti latitano) nasce l’osservatorio per minori della Capitanata al fine di “conoscere l’universo articolato, complesso e a volte problematico dei bambini, adolescenti, giovani”, ed anche per esplorare proposte, idee di intervento presenti nella Comunità. “E’ un progetto della società civile, un impegno del Rotary club! – dice il presidente Giuseppe Mammana – Forniremo una radiografia del territorio, un rapporto annuale su infanzia, adolescenza, giovinezza. Il nostro club vive qui, conosce le difficoltà ed anche le potenzialità. Il cambiamento deve venire dalle giovani generazioni“.
Nell’assenza di partiti e sindacati, di ampi settori della Società civile, qualcosa di nuovo potrebbe nascere nelle parrocchie. Si tratta di inventarsi un modo nuovo di essere cristiani e laici, di prendere la parola, di intervenire nel dibattito pubblico informale e formale.