La scuola trascurata e stordita. Chi e come potrebbe darle la scossa?

SOCIALE

Due fenomeni si affacciano: meno iscritti (una perdita destinata a crescere nei prossimi anni); docenti che lasciano la scuola prima del tempo. In Puglia il 15% in più di quelli dello scorso anno.

Accettano condizioni svantaggiose rispetto al pensionamento ordinario, ma se ne vogliono andare. Ho letto di una docente che perde 500 euro al mese, ha sessant’anni, è stata sconsigliata perché ha un solo reddito, inutilmente. Ho parlato con qualche docente, ho cercato di ragionarci, non c’è stato verso. Bravi, con interessi… eppure determinati e sereni nella loro scelta. Non ce la fanno più. Una forma di burnout. Nemmeno vogliono spiegare questa decisione e sorridono se qualcuno dice che si tratta di una resa, un atto di viltà controproducente. Avvertono di stare come in un tunnel, in fondo vedono uno spiraglio di luce e cercano di raggiungerlo per uscire dalla sofferenza. Una situazione che vivono anche altri, costretti per motivi economici a rimanere. Il lavoro sta cambiando, molti impegni per cose che non riguardano l’insegnamento vero e proprio. Ci sono nuove “gerarchie” nella scuola. Concorrenza fra istituti. I dirigenti in molti casi non riescono a governare situazioni complesse.

Nell’insegnamento non si può mentire. In un’altra occupazione o impiego si può continuare a lavorare senza grandi motivazioni, ma a scuola ogni giorno devi incontrare bambini, ragazzi, adolescenti… e con essi non è possibile fingere. “Il docente non fa più il docente… E poi i genitori vogliono la scuola che dicono loro”. Ma davvero si può fare a meno di docenti che non sanno fare altro che insegnare a leggere, a scrivere, a far di conto?

“Molti progetti, corsi, aggiornamenti… e non si fa quello che serve”. Ma che cosa serve? Diminuiscono gli iscritti, la dispersione scolastica cresce, quella nascosta (carenza di competenze) ancor più, gli adolescenti non nascondono malessere e insofferenza. L’esperienza scolastica per molti alunni è un calvario che umilia, inaridisce, impedisce di averne un ricordo positivo. Se si potesse osservare una classe dall’esterno si vedrebbero corpi seduti, in banchi allineati, che si sforzano di stare immobili, i volti rivolti alla cattedra (per tutto il tempo). L’insegnamento privilegia la formula assimilazione – ripetizione. Io spiego (insegno), tu studi e ripeti, io verifico.

Durante la Pandemia tutti avanzavano proposte di mutamenti epocali, niente sarebbe stato più come prima e invece tutto è peggio di prima. Dopo la Pandemia si può provare a reimpostare una didattica più attiva e una relazione docente e gruppo classe più vivace? Sarebbe sufficiente che l’insegnante cambiasse (o lo facesse fare agli alunni) la disposizione dei banchi. E’ triste porre tale questione dopo che tanti educatori (don Milani, Mario Lodi… soprattutto la Montessori) pensavano agli spazi come un luogo di reciproco e mutuo apprendimento tra gli alunni.

Ad alimentare la conoscenza sono le emozioni e allora si tratta di far divenire l’apprendimento materia viva. Che cosa si ricorda e rimane impresso: le uscite “fuori” dall’aula, le complicità e gli scambi con i compagni, gli interventi di chiarimento e approfondimento dell’insegnante e magari interventi in classe di altre figure… Ciò che è imprevedibile risveglia la curiosità!

Basaglia nel 1968 capì che nei luoghi di cura delle malattie mentali le persone si ammalavano di più, ed allora decise di rompere gli schemi e aprire porte e finestre. Chissà cosa direbbe oggi di fronte a nuovi luoghi di confinamento e chiusure (case di riposo, di cura…). Bisogna rompere il lucchetto, aprire le scatole, scompaginare comparti e regole rigide.

E’ strano pensare a quanta cura si presta all’arredo delle case, degli uffici, persino dei luoghi di incontro… e all’incuria delle aule, dove i ragazzi trascorrono gran parte del loro tempo più bello e ricco di esperienze! Del fatto che migliaia di bambini e ragazzi vivano esperienze noiose, ripetitive, inutilmente faticose (pensiamo solo al peso dello zainetto) non interessa nessuno. I due compiti della scuola più evidenti sono le competenze disciplinari e le relazioni sociali.  Le buone relazioni a scuola aiutano le buone relazioni nella comunità. Lo star bene a scuola aiuta a divenire cittadini attivi e vivaci, per questo è necessario stabilire una nuova relazione tra scuola e città. E la città educa come la scuola. Pensiamo al valore educativo di andare a piedi, il piacere di incontrare lungo il tragitto gli amici, scherzare, salutare, cantare… Accompagnati in piccoli gruppi da nonni o genitori…

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