Cutro. Il naufragio. Le parole del giudice e gli “aurighi” della lingua corretta.
Il naufragio, i dispersi, e la “mareggiata pitagorica” che moltiplica i morti e le bare. Poi le parole: “Non dobbiamo farli partire!” “Impegno della comunità internazionale per rimuovere la cause!”. “L’Unione europea assuma in concreto la responsabilità di governare il fenomeno!”. Parole giuste dette da figure istituzionali. Le stesse, di sempre.
L’ordinanza di convalida del fermo degli scafisti si apre con il “prologo”, come nelle tragedie greche. “In attesa dell’atteso ed osannato turismo crocieristico, l’Italia scopre per alcuni giorni altri esotici viaggi alla volta di Crotone”. Le organizzazioni criminali turche (e pakistane) opulente e immarcescibili brindano al terremoto che porterà ai loro traffici altri disperati disposti a tutto, pur di “mettersi alle spalle un crudele presente e un ancor più fosco futuro”.
E’ la voce di Cassandra – Ciociola, un giudice “gravato dagli orrori dell’ultima mareggiata pitagorica”, costretto “a vagliare l’ultimo fermo disposto in materia di immigrazione clandestina”. A Cutro molti “disperati” non sono sbarcati. Per sessantotto di essi il destino è stato “sordo alle loro speranze”.
Il giudice Michele Ciociola aggiunge, sulla base della propria esperienza, che, per effetti della guerra, non c’è più “manovalanza russa, per cui gli “aurighi dei natanti” sono turchi. In ogni caso il viaggio non nasce da un occasionale incontro di quattro amici al bar, i quali, incrociando per caso 180 disperati, “decidono di affrontare i perigli del mare”. No! Il viaggio è frutto di un accordo, consapevole e volontario, per speculare sulla disperazione di esseri umani che fuggono da situazioni di drammatica sofferenza; e come tale può essere reiterato.
Ho letto la sintesi di un atto “irrituale”, ma efficace, e non mi sarei aspettato le reazioni dei giornali: uno “sbarramento” in nome della pertinenza e del linguaggio corretto! Forse sarebbe andata bene una premessa di carattere strettamente giuridico, niente da ridire con un’ampia citazione di Papa Francesco o (perché no) di uno dei tanti documenti dell’Unione Europea e dell’Onu!
Non ci sono più le parole per dire, descrivere tragedie che si ripetono, destinate a crescere, amplificarsi (come i cosiddetti “deportati” o rimpatri volontari). Ho scritto tanti articoli sull’immigrazione, i ghetti, le morti, altri naufragi. Ho difficoltà a parlare, a ricordare. Sono fissati nella memoria piccole storie, immagini, foto… Non dimentico quel piccolo involucro di plastica e dentro la pagella di un bambino annegato. Forse avvolto con cura dalla madre, con la speranza che qui sarebbe stato accolto.
Tutti i giornali esprimono sconcerto e riportano brani dell’atto biasimato e stroncato. Si censura l’umorismo nero (!), i toni spericolati e non pertinenti, si cita l’operetta (Metastasio)…. ma nessuno si avventura a dire che non si colga una pietas sincera e dolorosa.
Immagino quel giudice su quella spiaggia, di fronte a quella scarpetta perduta, “gravato dall’orrore” di questa tragedia, che sa essere né la più grave e nemmeno l’ultima. E lì in “dissolvenza” vede le navi da crociera del ricco Occidente (l’immagine che tanto ha fatto indignare i giornalisti del Corriere della sera). Non è Euripide, ma ci prova a trovare parole non ovvie e rituali per lenire la sua sofferenza e rompere il ghiaccio dentro di noi.
I censori non conoscono Parini, Belli, Porta, Leopardi, tantomeno Swift… La lingua non può essere chiusa dentro recinti, esce fuori per rivitalizzarsi con l’ironia, il sarcasmo… E proprio uscendo tocca corde che possono stimolarci a sapere di più, a immaginare. Sapere che milioni, decine di milioni di giovani, famiglie intere… in Africa e altrove soffrono, desiderano scappare. Non farli partire significa affrontare i cambiamenti climatici, le guerre, trattare i migranti e i profughi (bianchi e neri, europei e africani…) alla stessa maniera.
Abbiamo perso l’attitudine a vedere oltre, a immaginare. Eppure solo le parole possono salvarci, se però ci fanno pensare, indignare, ci aiutano a metterci nei panni… L’immaginazione è una virtù civile. Non ricordo se lo diceva Tolstoj o Conrad: Spero che su un monte, io trafelato scrittore possa incontrare un altrettanto trafelato lettore, salito per altri versanti… Chi scrive lo fa al 50%, l’altra parte è del lettore, se le parole sono entrate dentro e si sono trasformate in emozioni e passioni.