Gli italiani? Sono malinconici. Lo dice il Censis… E se fosse una cosa buona?
Il Censis, e altri istituti di ricerca, si rifugiano spesso in definizioni suggestive… Al di là di numeri, statistiche individuano un aggettivo, un’immagine che possa “restare” nella memoria.
Famoso quel riferimento dell’Eurispes, anni fa, a Zeno Cosini. Gli italiani simili al protagonista della Coscienza di Zeno, indeciso, mai capace di portare a termine un progetto. Eppure animato sempre di buone intenzioni. Quel riferimento allora permise di parlare di un libro importante. Gli italiani oggi appaiono impauriti, confusi. Paura della guerra, dei cambiamenti climatici, scandalizzati delle disuguaglianze, dei premi milionari a manager inefficienti, di quanto guadagnano gli influencer… eppure queste convinzioni non si tramutano in indignazione e impegno politico. Gli italiani, dice il Censis, tendono a chiudersi nel privato. Consapevoli che eventi e mondo non si possono controllare. Sono malinconici, perché si scoprono inadeguati, limitati, sentono il proprio destino in mano ad altri. Malinconia come anticamera della depressione? In tutti i commenti si esprime il pericolo di un atteggiamento inadatto allo spirito necessario (quello della ricostruzione e del miracolo economico) per affrontare le crisi del nostro tempo.
Il malinconico non ha più coscienza e fiducia nell’avvenire che gli viene incontro, anzi spesso si lascia imprigionare dal passato. La malinconia è sempre stata una caratteristica individuale, può essere un sentimento attribuito a una comunità? A un popolo?
Partire è un po’ morire, dice una canzone. Milioni di italiani sono partiti nel Novecento verso altri continenti, mai più avrebbero rivisto coloro che restavano qui, i luoghi, i paesaggi… La malinconia è legata a rimpianto, nostalgia. Ed essi, pur con il pianto nel cuore, hanno costruito altrove una nuova casa. Molti giovani vanno via dal Sud. Lasciano luoghi, da dove hanno sognato di partire. Odiano pure questa città, dove forse non sono troppo felici, “ma dove tuttavia anche la pioggia quando cade non è solo pioggia”. Si portano “dentro” elementi esterni (sole, luce…) ed intimi, affettivi, relazionali… Diverranno memoria, carattere, spazi della mente, immagini di libertà. Con essi costruiscono la vita nei nuovi luoghi.
E se la malinconia fosse una qualità positiva? Un atteggiamento che aiuta a vivere meglio? Se nel passato fosse stata curata non avremmo avuto lo scempio degli anni sessanta. Saccheggio della Piana di Macchia e del Centro storico. L’industria nasceva per fermare lo spopolamento dell’emigrazione, ma il secondo era il frutto della modernizzazione “malata” delle élite cittadine. Uno scempio che ha alterato irreversibilmente forma urbana, trame viarie esistenti, modificato piazze, luoghi aperti di svago e culturali. Il centro storico disegnato da Manfredi (e Carlo d’Angiò), ammirato da tanti visitatori europei, racchiude ancora tutte le funzioni politiche, simboliche, culturali dell’intera comunità. Se si fosse coltivato allora un po’ di malinconia, senso della perdita… se si fosse provato a immaginare un futuro senza distruggere il passato!
Come nasce l’arte e la letteratura? Uno studioso canadese (Northrop Frye) risponde così. Adamo ed Eva sono cacciati dal Paradiso terrestre. Davanti a una caverna Eva attizza il fuoco, cura da mangiare, Adamo leviga le selci e… mentre si prepara per la caccia ripensa al Paradiso perduto. Una interpretazione suggestiva e un bel po’ maschilista. Il non contentarsi, raffigurarsi cieli nuovi e terre nuove, le utopie sono il lievito della vita. Come i giovani dopo il sessantotto, se fossero stati aiutati a non volere tutto e subito, a introdurre un po’ di malinconia nell’impegno frenetico, non avremmo avuto le cadute drammatiche di tanti nel terrorismo, eroina, suicidio. La malinconia, il disincanto si affacciano dopo la fine del Comunismo, ma è difficile farli convivere insieme. Quando sorge la prima il secondo si oscura.
Poteva essere l’occasione per parlare di Leopardi, poeta della malinconia (noia, tristezza, nostalgia…). Si poteva ricordarlo oltre che come poeta, come straordinario pensatore civile, che spinge all’azione, al fare, all’esperienza. E oggi nelle città tristi, malinconiche occorre recuperare la curiosità, la parola. All’indifferenza, al potere che si trincera nella banalità e nell’arroganza, Leopardi consiglia di rispondere con il riso e l’ironia. “Ridiamo insieme alle spalle di questi coglioni che possiedono l’Orbe terraqueo. Il mondo è fatto a rovescio… Sarebbe più ridicolo il volerlo raddrizzare, che il contentarsi di stare a guardarlo e fischiarlo” (Lettera all’amico Pietro Brighenti, 1821).