“Ti mangio il cuore”. Raccontare la mafia tra efferatezza criminale e passione ribelle.
Il film non fa la storia della mafia garganica. La letteratura, il cinema… alterano il tempo, condensano anni e decenni in una frase o immagine.
All’inizio ci sono i maiali. Il film non fa vedere l’intera famiglia data in pasto ai maiali. Si affacciano spesso, sentono l’odore del sangue e lo leccano. Come fa Andrea Malatesta al primo omicidio. Nel bestiario ci sono le pecore, dal manto intricato, la lana nodosa, sporca… Poi le vacche, sempre coperte di fango e sterco. La merda è costretto a mangiare un personaggio di contorno, sperando di avere salva la vita. Non è così, perché la parola data si rispetta solo nel clan. Le vacche, cinquanta, sono pattuite come “ristoro” all’offesa di Andrea per la sua relazione con Marilena, moglie del capo della famiglia rivale (Camporeale). Marilena gravida viene toccata come una giumenta da Teresa Malatesta, la madre di Andrea, dura e implacabile. Accetta in famiglia la donna traditrice perché porta nella pancia un Malatesta.
Un bestiario terribile e simbolico. Maiali sono i mafiosi, con le tavolate cupe, cibo autarchico, tutto di produzione familiare: formaggio, carne, vino… In questo Gargano atavico, lo spazio appartiene ai criminali, che vengono da un tempo remoto. Il sangue si lava con il sangue. A Bosco Quarto tanti anni fa una donna anziana, che in quei luoghi era vissuta da bambina, mi fece vedere lapidi nascoste tra erba e radici. In una: “Dio pensaci tu”; iscrizioni simili in altre due. La vendetta arrivava sempre, anche dopo anni, con figli e nipoti. Ora nel Tavoliere, a Vieste, Siponto… arriva presto. A Orta Nova, un delitto tra adolescenti: l’ucciso è figlio del boss, passano pochi giorni e tocca al padre del giovane assassino (già in carcere!). Una terra da Far West? Ma nel West c’è luce, gli spazi sono aperti, c’è un giustiziere – liberatore, le donne spesso mettono pace.
Un equilibrio difficile tra famiglie mafiose. Rotto da un amore impossibile tra Andrea, erede dei Malatesta e lei, Marilena, moglie del boss Camporeale. Leggi arcaiche regolano i conflitti, ma ora non ci sono bestie e pascoli contesi. Un amore sovverte, sconquassa… Forse i due amanti pensano a una vita diversa, lontana, stanno sul punto di fuggire, Marilena potrebbe portarsi dietro i figli di Camporeale e quello che ha dentro di Andrea. C’è l’onore e non c’è “ristoro” che tenga, ci provano i montanari (“la guerra non piace a nisciuno”). Michele Malatesta, il vecchio capo clan, è ucciso, anche per lui non c’è ristoro e limite alla vendetta.
Ad Andrea pesa il ruolo di capo, poi dopo il primo delitto è avvinto dalla smania di potere, si perde nell’onore familiare, sollecitato dalla madre Teresa, depositaria irriducibile della vendetta. L’unica nota lieta è il ballo sull’aia di Teresa col marito prima che fosse ucciso. Marilena è contesa e oltraggiata. Non fugge e rischia. Inconsapevolmente fa le scelte giuste, sorretta da un’intelligenza istintiva, uno spirito materno.
C’è il bianco e nero, per capire, indagare i volti, gli sguardi, il ghigno, il rancore. E il film si può guardare senza intendere il parlato o leggere i sottotitoli. Non c’è Chiesa, né Stato. E’ dominio dei clan l’asta (al maggior offerente) per portare in processione la Madonna; dietro la lunga schiera di donne, velate e vestite di nero, punteggia muta gli omicidi che si susseguono. Mai figure pubbliche, presenze, parole, sguardi di pietà.
Il finale si decide in una processione. Il boss dei montanari che aveva cercato di mettere pace, dà il segnale, mentre porta il baldacchino della Madonna. Andrea corre nel labirinto dei vicoli verso il suo destino, e Marilena anch’essa corre, lungo gli stessi vicoli, verso un altro destino. Pentita. La didascalia finale dice che lontano cresce i figli delle due famiglie, come fratelli. Nell’ultima inquadratura il piccolo Michele Malatesta si volge verso la macchina da presa e con le mani simula una pistola puntata!
Ti mangio il cuore rinvia alla spietatezza dei delitti mafiosi ed anche all’amore totale. Dante, nella Vita Nova, sogna Beatrice che afferra e mangia il cuore del poeta. L’immagine del cuore mangiato è il segno più alto di amore, la fusione completa.
E’ solo un film, non è la verità storica. E’ quella più sfuggente percepita dai protagonisti, nei destini segnati e imprevedibili. Un film che, per noi garganici, non può scivolare sulla pelle. Un film da cineforum. Per i giovani soprattutto. Oggi il paesaggio non è più fango e sterco, ma le sudditanze, i legami mafiosi sono altrettanto (o forse più) feroci e spietati, nascosti e inquietanti.