Si può sognare un ecoquartiere nei Comparti? Pinete nascoste per adattarci al clima che muta

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La prima foto è una rotonda immensa. Quanti alberi si potevano piantare? Spazi del genere nella nuova grande periferia dei Comparti ce ne sono tanti: rotonde, viali, aree vuote e sconnesse tra strade e blocchi di case.

Un paesaggio gelido, un deserto. Dove non ci sono persone in giro, né luoghi di incontro, al di fuori di chiesa, supermercato… Non è pensabile a breve aperture di locali per socializzare o di benessere. Forse bisogna curare le aree all’aperto. Si può pensare a un ecoquartiere? Una provocazione, certo, visti gli standard richiesti. Però… si può puntare su alcuni elementi: energie rinnovabili (e quindi il solare), il consumo del suolo può essere in parte convertito ad aree verdi. Poi c’è la mobilità sostenibile, la gestione dell’acqua (forse si possono creare piccoli invasi). la qualità della vita, favorendo la socializzazione, ma per questo bisogna uscire dalle tane (ville…) ben curate, recintate, alcune con piscine interne.

Nella foto sotto, la pineta dimenticata. Si trova sopra i Comparti: Via dei Martiri delle foibe e si estende per tutta la lunghezza della strada, lungo la quale ci sono rampe e gradini di accesso. Peccato che sopra per una larghezza di una ventina di metri ci sono cumuli di detriti e materiale edilizio, con arbusti e piante. La pineta è più grande di quella che si trova dentro il villaggio di Siponto. E’ sollevata di alcuni metri sul mare ed è un’oasi di frescura. Dietro c’è un muretto, in alcuni tratti demolito, che separa la pineta dal canalone dove scorre la ferrovia che collegava con l’Enichem. L’odio contro lo stabilimento non ha permesso nemmeno di fare i conti con alcune infrastrutture che potrebbero essere utili.


Questa pineta è abbandonata e sconosciuta. E’ un dovere civico utilizzare i beni comuni e gli spazi all’aperto, perché solo la fruibilità assicura la sorveglianza e la cura. L’ondata di caldo che continua a colpirci non è un problema del futuro, ma del presente. L’unico atteggiamento ragionevole è dare per scontato che nei prossimi tempi assisteremo a un aumento della frequenza e gravità di questi episodi. Il Mediterraneo è una delle regioni più vulnerabili. Non esistono soluzioni magiche, solo mitigazione delle emissioni e adattamento. Le condizioni meteo estreme colpiscono categorie vulnerabili (anziani, bambini, donne incinte), ed occorre creare spazi in cui i cittadini possano trovare riparo, zone d’ombra. Negli scorsi anni si facevano progetti per l’emergenza caldo e portare anziani vulnerabili alla casa di riposo Stella Maris, dove c’è un po’ di verde all’aperto. Vi pare ragionevole? Le pinete che abbiamo dovrebbero essere prese d’assalto! La l’abbandono riguarda anche la pineta che circonda il Golfo e arriva fino al Candelaro. Un intervento europeo l’ha ripulita e permesso di costruire due parchi giochi, aree per pic nic. Tutto distrutto. Nessuno ci va. I tanti camminatori, nonostante i vantaggi dell’aria salubre, preferiscono rimanere per le vie di Siponto.

Il cambiamento climatico impone una riflessione attenta. Chi lavora all’aperto (braccianti, edili) può ignorare questa realtà? A scuola si potrà continuare a trascurare i cortili e gli spazi all’aperto? In alcuni cortili si può curare e ampliare il verde, che, ridotto che sia, mitiga il calore. Sono piccole cose, certo. Il paesaggio italiano è interamente costruito e adattato dall’uomo. Un paese di molto osso (zone montane) e di poca polpa (le pianure). Tutto porta i segni del lavoro e del sacrificio. Guardiamo verso Monte S. Angelo, lungo la strada che sale verso il paese ci sono tante terrazze protette da un muro a secco, per ricavare un fazzoletto di terra con qualche albero e un po’ d’orto. Un viaggiatore del secolo scorso, osservandole, esclamò: “Ma come si fa a sostenere che i meridionali non hanno voglia di lavorare?” Il lavoro dell’uomo ha incanalato corsi d’acqua, costruito cisterne a cielo aperto, piantato alberi… Dovunque “un immenso deposito di fatiche”.

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