I canadair volavano sulle nostre teste e un piccolo “miracolo” accadeva a Siponto.
In pochi giorni diversi incendi. Quelli opera di mafia (grano) e quelli di aree forestali del Gargano (Baia delle Zagare, Oasi lago Salso…). Sempre dolosi.
In questi giorni caldi ho scoperto l’intelligenza biologica delle piante, un mondo così vicino e così lontano, che può aiutarci a capire la nostra realtà. Osservate queste foto. Una pianta di Kiwi. C’è una distanza di due metri tra i rami e la balconata. Quest’anno l’ho potata per bene a febbraio, per evitare che si arrampicasse. Sono stato attento, ho controllato ogni mattina. Poi improvvisamente mi accorgo che la distanza, nel vuoto, dal ramo alla balconata è stata colmata, forse in una sola notte. Un’impresa “guidata” da una testa minuscola e vivace di un “cirro”, che ha utilizzato tutte le risorse della pianta. E si vede come le foglie siano ingiallite e non alimentate per sostenere questo sforzo. Faticoso anche per la siccità, né potevo dire al proprietario del giardino sottostante di innaffiare più spesso. La testolina del cirro, dopo essersi avvolta a mo’ di serpentello alla ringhiera, si è assottigliata e spenta.
Ho presentato qualche anno fa alla rassegna, “Umbrialibri”, “Le radici del pensiero” di Marco Paci, docente di ecologia forestale all’Università di Firenze, dove è sorto il laboratorio internazionale di neurobiologia vegetale (Stefano Mancuso). Paci racconta la sorprendente intelligenza biologica degli alberi, i cui comportamenti potrebbero aiutarci a vivere in modo più essenziale, sobrio… Possiedono un patrimonio di saggezza (nella crescita, riproduzione, gestione delle risorse) e di memoria biologica. Uso le parole “saggezza”, “memoria” con molta prudenza.
Conosciamo tutti il processo meraviglioso della fotosintesi clorofilliana, la trasformazione dell’anidride carbonica in glucosio e carboidrati (alimento per le piante) e ossigeno per la vita sulla terra. Gli alberi non si nutrono a spese di altri esseri viventi. Sono immobili, ma si muovono le radici e le parti aeree. Sono formati da organismi modulari. La crescita si basa su un costante processo di costruzione di nuovi elementi che si sovrappongono e si sostituiscono ai precedenti. Non c’è la centralina nel cervello. Anche se la pianta di Kiwi potrebbe farmelo pensare. Insomma in ogni modulo c’è la capacità di rinascere anche dopo la distruzione della sua parte visibile. Gli alberi distribuiscono gli alimenti con sobrietà. Producono biomassa in proporzione alle risorse. Nell’ambiente arido hanno estese radici e fusto sottile, in un ambiente favorevole radici ridotte e fusto rigoglioso.
Hanno una memoria. Gli anelli indicano l’età. Ma l’età cronologica non corrisponde a quella fisiologica. Due piante nate insieme, una ha avuto uno sviluppo lineare, è cresciuta, si è innalzata per trovare luce e sole, un’altra è rimasta indietro… Il bosco è spietato, non aiuta i deboli, però, se si libera lo spazio e il cielo, la pianta rimasta indietro recupera il tempo perduto. Le piante non sono egoiste, non vivono in una nicchia… ma in una comunità… In vecchiaia si riproducono di più e quando sono morte fanno parte del bosco.
La lotta per la difesa dell’ambiente e contro il riscaldamento globale è stata messa da parte. E se piantassimo uno, dieci, cento miliardi di alberi? Si riuscirebbe a rallentare la deriva e il precipizio.
Intelligenza delle piante? Sembra eccessivo e forzato.. Dobbiamo comunque cambiare atteggiamento. Imparare ad osservarle, vederne i mutamenti. Anche di quelle domestiche. E rileggere i classici.
Tre indicazioni minime. Lettura dei miti greci e di Ovidio (Le Metamorfosi), che popola i boschi di ninfe e satiri, narra le trasformazioni di uomini e donne in animali e piante. Due grandi della letteratura italiana: Leopardi e Manzoni. Nello Zibaldone il primo descrive un giardino bello, godibile… Però, una rosa appassisce per il caldo, quel giglio è succhiato da un’ape, quell’albero infestato da un formicaio o da bruchi… quella pianta non trova dove appoggiarsi… Questo giardino ci rallegra l’animo, ci pare un soggiorno di pace… E’ però segnato dalla “souffrance”. Manzoni poi era un botanico. Riconosceva 2000 specie di piante. Nella sua villa di Brusuglio vi erano centinaia di piante curate da lui stesso. Dedicava più tempo agli alberi che alla letteratura. Indicativo il passo sulla vigna di Renzo, divenuta dopo la peste, un “guazzabuglio”.