E’ tutta colpa di Omero. Achille, però, concede a Priamo una tregua di undici giorni.
La cultura occidentale si fonda nel mito della guerra eroica! I poemi omerici cantano “la bellezza della guerra”, “lo splendore della gloria”, gli “eroi più divini degli dei”. Ma è proprio così?
L’ora di epica a scuola (Iliade, Odissea, Eneide) e gli eroi omerici hanno accompagnato l’adolescenza dei ragazzi italiani. Ho frequentato le scuole medie nei Salesiani. Ettore e Achille. Eravamo quasi tutti per il primo. La lettura delle ultime pagine dell’Iliade: duello, morte, riscatto del corpo di Ettore suscitavano grande commozione. Priamo si reca da Achille e in ginocchio gli bacia le mani: “Achille abbi pietà: ricorda il padre tuo”. Achille è commosso, fa lavare e rivestire il corpo, e lo consegna al padre. Trattiene il re troiano per la notte, piangono a lungo insieme. “Gli uomini sono tutti nell’infelicità”. Omero ha voluto che fosse il vincitore a ricordarlo al vinto. Siamo alla fine dell’opera, quella tenda diviene il centro del mondo, lì sorge l’amicizia, scompare la vendetta, si cancella la differenza tra vincitori e vinti. “Per quanti giorni vuoi celebrare gli onori funebri d’Ettore?” Priamo gli dice il tempo per raccogliere la legna, innalzare la tomba… dieci-undici giorni. “Sospenderò la guerra per tanto tempo” risponde Achille.
Si sprecano confronti e riferimenti ai classici in questi giorni. Però le citazioni sono parziali, inesatte “Oh gran bontà dei cavalieri antichi… “. E’ citato questo verso in un contesto in cui si critica l’esaltazione della guerra. Siamo nel primo canto dell’Orlando Furioso di Ariosto. Angelica fugge e tanti sono i guerrieri che la cercano… Ferraù, mentre si disseta in un fiume, vede una fanciulla che scappa e grida, seguono un cavallo e a piedi un guerriero (Rinaldo). E’ Angelica. I due si affrontano, combattono… poi è Rinaldo che dice: “Siccome pure tu sei innamorato di Angelica, a che serve perdere tempo… inseguiamola e poi riprendiamo il combattimento”. Rinaldo è senza cavallo, che, più intelligente del padrone, insegue autonomamente Angelica); Ferraù lo invita a salire sul suo… è costretto ad insistere… Ed ecco il commento dell’Ariosto: “Oh gran bontà dei cavalieri antiqui! – Erano rivali erano di fede diversa – sentivano per tutta la persona i colpi del combattimento e ora vanno insieme per boschi e selve senza alcun sospetto”. Altro che la borraccia passata da Bartali a Coppi. Qui è come se uno “fora” e l’altro lo invita a salire insieme sulla sua bicicletta!
Orlando Furioso è un’opera piena di immaginazione e fantasia. Orlando va alla ricerca di Angelica. Ma se trova una donna da aiutare, un’ingiustizia da sanare… Olimpia gli racconta una storia triste: il re Cimosco vuole fargli sposare il figlio. Non ha rivali, perché ha un’arma terribile. L’archibugio. Nessuno osa sfidare i proiettili infuocati, ma Orlando evita anche le pallottole, e libera Olimpia. Poi cerca il luogo del mare più profondo e lì getta quel “maledetto abominoso ordigno fabbricato per mano di Belzebù”. Laggiù la macchina infernale rimane nascosta per molti secoli… Poi un incantesimo la riporta alla luce. Da allora bombarde, colubrine, cannoni, e fumo, vampe, rumore delle bombe sui campi di battaglia. Galilei amava molto “L’Orlando Furioso”, più utile di tante opere scientifiche, perché ogni pagina è attraversata da ironia, imprevedibilità, sorpresa.
Esistono versioni per i bambini di opere epiche e molti libri sui conflitti, utili in questi giorni di guerra. Ascoltare i bambini che discutono insieme di litigi e conflitti è una esperienza bella, hanno sottili abilità dialettiche e mostrano attenzione ad aspetti trascurati dai grandi: l’umiliazione, l’arroganza, le ingiurie, la necessità di fermarsi in tempo.
A proposito di Angelica. Rifiuta i più famosi eroi cristiani e musulmani (le virtù e i difetti sono egualmente distribuiti nell’Orlando furioso), sceglie di sposare un umile fante saraceno. Tutti si rassegnano, fuorché Orlando che perde il senno. Per recuperarlo Astolfo va con l’ippogrifo sulla luna, dove si raduna tutto ciò che si perde sulla terra. Tra cui, conservato in ampolle, il senno degli uomini. Che sorpresa, per Astolfo, quando scorge montagne enormi di ampolle, anche di quelli che sono ritenuti saggi sulla terra.