Enea, con il padre Anchise sulle spalle e Iulo per mano, un emblema di questo tempo.
Giorgio Caproni, uno dei maggiori poeti italiani del Novecento, vide a Genova (piazza Bandiera) la statua di Enea e fu per lui una apparizione, una folgorazione.
La statua settecentesca di Enea emerge quasi intatta tra macerie, crolli e rovine intorno. “Io quella città non l’avevo mai vista, mai visto il piccolo monumento a Enea… Una meraviglia immensa”. A questa statua si ispira la raccolta “Il passaggio d’Enea”. Non c’è niente della retorica, della romanità dell’era fascista. Enea è vivo, concreto, sospeso tra passato e futuro, esule in cerca di un approdo e soprattutto “terribilmente solo e terribilmente attuale”. Enea appare inatteso tra i palazzi sventrati e i cumuli di detriti, Enea padre e figlio, che fugge da una città distrutta dall’altra parte del Mediterraneo… Può essere l’emblema di questi nostri tempi?
Enea porta in spalla “un passato che crolla”, cercando di salvarlo, “e al rullo di un tamburo – ch’è uno schianto di mura, per la mano – ha ancora così gracile un futuro – da non reggersi ritto”
L’eroe virgiliano si lascia dietro le macerie di una città, mentre il futuro, il lido della costa laziale, appare lontano, indistinto. “Il passaggio di Enea” di Caproni esprime la condizione dell’uomo costretto a fare i conti con l’eredità della seconda guerra mondiale, un mondo frantumato in mille pezzi dalla guerra e dalle dittature. Un nuovo inizio è nelle mani di tre generazioni, che hanno perso tutto, e si muovono verso una nuova vita.
“Io ho girato molte città d’Italia… non ho incontrato l’unico Enea possibile, l’unico Enea veramente vivo nella sua solitudine e nella sua umanità. L’unico Enea che meritava davvero un monumento in mezzo a una piazza, simbolo di tutta l’umanità moderna, in questo tempo in cui l’uomo è veramente solo sopra la terra, con sulle spalle il peso di una tradizione ch’egli tenta di sostenere, mentre questa non lo sostiene più, e per mano una speranza ancora troppo piccola e vacillante per potercisi appoggiare, e che tuttavia egli deve portare a salvamento… Me lo vidi di soprassalto, e sebbene fosse un Enea di marmo, la mia emozione non fu minore di quanto ne avrei provata incontrandolo in carne e ossa” (Caproni)
“Enea sono io… siamo tutti”. Enea simbolo di una generazione sopraffatta dalle dittature e poi dal conflitto. Caproni parla della “guerra penetrata nell’ossa”, con immagini di cupa soffocazione. “Luoghi freddi e rimbombanti… lastricati scossi da passi notturni…” Non c’è primavera o estate, solo inverno, “dominato da gelo, brina, pleniluni spettrali…”. Le mani si allentano, “e per l’eterno ora cade – come un sasso tuo figlio…” – “Sui pavimenti di pietra una piaga solenne è la memoria…” “Ah padre… E a che affronti – solo nel cumulo d’anni e di mani – inasprite dal gelo i bui tramonti – che la spalla non regge più…”
Nella vicenda leggendaria di Enea e nella sorte di quel gruppo marmoreo che peregrina nella città, prima di trovare collocazione in una delle piazze più bombardate di Genova, il poeta vede il destino suo e di una intera generazione, sopravvissuta alla guerra, che deve conciliare un passato che non si regge più da solo e un futuro acerbo. Dentro le solitudini estreme di quel tempo, delle rovine visibili e “invisibili”, Enea rappresenta il dramma dei padri da salvare e dei figli da condurre verso un domani di cui non si vedono i contorni. Enea “solo nella catastrofe”, è figura della sconfitta e della speranza, del dolore e della solitudine di una umanità che accetta la vita così come è, dignitosamente, “senza orizzonti e senza viltà”.
Per leggere questo articolo intero e gli altri contributi cfr Endoxa maternità/ paternità marzo 2022.