Ei fu. Manzoni e Napoleone. E la storia non fu più la stessa. Anche per il Sud e la Capitanata.
Appena giunse in Europa (dopo oltre due mesi) la notizia della morte di Napoleone, Manzoni scrisse in tre giorni l’ode “Il 5 maggio” che circolò velocemente in varie copie manoscritte in Italia e all’estero.
Ei fu. Rimane folgorato il Manzoni come tutti. Attonita e muta la terra, “né sa quando una simile orma di piè mortale” verrà a calpestare “la sua cruenta polvere”. Al contrario di tanti (musicisti, poeti, filosofi…) il Manzoni ha visto Napoleone all’apice della gloria ed è rimasto in silenzio. Né è intervenuto nella sconfitta e nella caduta. Privo di servilismo e viltà, ora, al momento della morte, avverte il bisogno di parlare. Napoleone: un fulmine, un uragano… Un’esistenza smisurata, che si pose su due mondi, mise ordine tra due secoli contrapposti… E scomparve. Fu vera gloria? Manzoni pensa a Napoleone nell’esilio di Sant’Elena, ai tentativi di scrivere le sue memorie, allo strazio dei ricordi e dell’inerzia, alla disperazione… e poi la notizia della sua conversione, del suo piegarsi al “disonore del Golgota”. L’ultima immagine è di quel “dio che atterra e suscita che affanna e che consola”, postosi al suo fianco.
Un’ode fortemente ammirata, per Goethe la più bella opera scritta sull’argomento, “ogni strofa è un quadro”. In un’epoca di revisionismi superficiali, la lettura de “Il 5 maggio” può essere una introduzione interessante a una figura eccezionale e può sorprendere ancora per lo stile. Le vicende di una vita espresse con toni concitati e rallentati, commossi e ragionati, un andamento binario e periodi giustapposti. Non sono solo le parole a parlarci di Napoleone, ma il ritmo, la rapidità, la tensione continua.
“Un uomo che si doveva ammirare senza poterlo amare” disse Alessandro Manzoni. Napoleone aveva una straordinaria cultura, un lettore instancabile, con profonde conoscenze scientifiche e filosofiche; fece costruire biblioteche in tutte le residenze private per contenere almeno 60.000 volumi. Manzoni rimase colpito dalla conversione, che non fu improvvisa come credeva. Tutte le testimonianze che vengono da S. Elena (e pubblicate successivamente) parlano di una riflessione di lungo periodo. Era anticlericale ma non anticristiano. Anche il Manzoni era un convertito, ma mentre molti ripiegarono, in quel periodo di restaurazione, verso posizioni reazionarie, in lui ritroviamo i valori dell’illuminismo (libertà, uguaglianza, fraternità) battezzati.
Personaggio controverso, Napoleone; non fu solo uno stratega. Esportò la rivoluzione e voleva gli Stati Uniti d’Europa. Il decennio francese fu importante nel Meridione italiano: una presenza straniera certamente, ma che portò istituzioni e leggi significative. Innanzitutto l’abolizione della feudalità. I baroni perdevano i diritti su parte dei terreni demaniali e sui contadini. Mirava a trasformare il possesso feudale in proprietà borghese e auspicava la creazione di una piccola e media proprietà contadina. Un decennio fondamentale per la Capitanata. Fu progettata la trasformazione del Tavoliere delle Puglie, da grande demanio a beneficio della pastorizia transumante, ad area di media e piccola proprietà coltivatrice. Purtroppo molti contadini o rinunciavano (troppo alti i canoni richiesti dai Comuni) o non avevano i mezzi per lavorare la terra… E baroni e galantuomini ampliarono i loro possedimenti. Un fallimento addebitabile alle politiche restauratrici successive al decennio francese.
Napoleone fu sconfitto a Waterloo nel 1815, nello stesso anno la Santa Alleanza impose la Restaurazione del vecchio ordine e il ritorno delle antiche dinastie. A Napoli ritornarono i Borboni, ma dopo appena 5 anni scoppiavano i moti del 1820 e 1921, repressi dall’esercito austriaco. Era l’inizio di un lungo periodo di instabilità, ribellioni, fino al “quarantotto” e oltre.
Nello stesso anno il Manzoni, scrisse “Marzo 1821”, sulle speranze suscitate dai moti patriottici. E nello stesso periodo pensava a un’altra tragedia: Spartaco. Il ritratto di un uomo che raccoglie masse di schiavi ribelli, ma si rende conto del pericolo di un incerto conflitto con Roma, e propone ai suoi di abbandonare l’Italia. Dagli appunti si ricava che Manzoni con Spartaco voleva raccontare il dramma di una insurrezione civile contro la schiavitù. Poi tenta la via del romanzo. I Promessi Sposi, l’epopea degli umili, con la novità assoluta di porre al centro due popolani.