Pandemia. Che ne è dello spazio pubblico informale? Cambieranno parole e discorsi?
Abbiamo perso il contatto con le strade, le piazze, la folla… siamo disorientati da dati e notizie… Un ingorgo comunicativo, in oscillazione continua dalla paura alla speranza. Dobbiamo reimparare la vita sociale, nel segno della prudenza.
Per la forza delle cose, abbiamo perso ogni autonomia. Anche nell’organizzazione della vita privata: portare i figli a scuola, in palestra, uscire a passeggio, visita a parenti… La democrazia funziona quando le persone sono attive senza dipendere dallo Stato o dal Comune. Nel senso che, rispetto all’organizzazione della vita, si muovono da sole, con i familiari, i vicini, gli amici e sono capaci di autogovernarsi.
Mai si lamenterà abbastanza la scomparsa, in questi mesi, dei luoghi informali dove avvengono incontri informali. I mercati, le strade e le piazze contribuiscono a quel genere di conversazioni a ruota libera sulle questioni della vita e della città, di cui si nutre la democrazia. Tutti partecipano, ma proprio tutti. Ieri come oggi. E tutti sono protagonisti di questo straordinario palcoscenico teatrale che è lo spazio urbano. Per le persone anziane andare al mercato è un’esigenza fondamentale. E l’acquisto non è mai una semplice operazione economica. Sono gli incontri ravvicinati quelli che rendono fluidi i rapporti, è il contatto con le persone di cui si ha fiducia, che fa vivere bene. Si sottolinea la perdita economica degli esercizi commerciali, ma mai la perdita democratica. Non a caso ogni regime totalitario ha sempre controllato gli assembramenti informali.
Il vantaggio di questi luoghi è che si possono vedere altre persone oltre l’orizzonte della famiglia e degli amici. Qui si possono notare virtù essenziali alla vita civica (lealtà, fiducia, responsabilità): persone che si dedicano a impegni di cura (aiuto ai disabili, nonni che accompagnano i nipoti a scuola), altre persone (artigiani, commercianti, commessi) che fanno bene il loro lavoro… Sono i luoghi informali quelli che offrono più varietà e sorprese. In essi non vi è gerarchia e quel poco che c’è si fonda sul rispetto delle norme del vivere civile. Non è l’Ufficio, l’Ospedale, la Scuola… dove vi sono sempre ruoli definiti e dove le persone sono pagate per svolgere determinate funzioni e dire determinate parole. E’ scontato che l’insegnante dica che la scuola serve e fa bene, è diverso se a parlarne bene è un artigiano, un pescatore, un immigrato…
I luoghi informali possono promuovere il vivere civile senza sbandierarlo, portano ad apprezzare l’umorismo e le forme verbali creative. Insomma la conversazione è più disinibita e teatrale, come si vede nei bar, nelle sale dei barbieri e parrucchieri, nei piccoli negozi… le informazioni circolano veloci, tra ironia e paradossi. Uno spaccato della città: abitudini e giudizi, ed anche buon senso. I primordi del giornalismo sono stati i “caffè”, nel passato luogo di appuntamenti, discussioni politiche, pettegolezzi. E oggi i caffè nei piccoli borghi sono proposti come luoghi di aggregazione e di socializzazione per la ricostruzione dopo la pandemia.
Quanto scritto sopra è un ritratto ideale. In verità questi luoghi non vivevano di buona salute. Andavi in piazza, in una pescheria, in un ufficio pubblico e sentivi un unico, monotono racconto, costruito sulla paura degli immigrati, su una presenza incontrollata, una invasione… C’erano persone abili a raccontarla e ad amplificarla. Si sentivano solo i megafoni della paura, mancavano quelli della speranza, del dialogo, del dubbio. La Pandemia ha avuto un merito: ha soppiantato tutte le altre paure. Ora di cosa si parlerà? Da tempo c’era un’altra stranezza. Su una panchina vedevi una coppia: entrambi per tutto il tempo immersi nel cellulare. Neppure per un attimo si guardavano attorno. Passavi davanti a un bar, c’era qualcuno che conoscevi… avresti voluto salutarlo, rallentavi… lui e quelli vicini nessuno sollevava la testa… ed ora che accadrà? Abbiamo detto che nel lockdwon ci mancavano le relazioni…