Il Tavoliere? Un “deserto antropico” insicuro, sconosciuto, trascurato… e ricco.
L’aspirazione a guardare una città, un territorio dall’alto, volando come Icaro, è il sogno di geografi e urbanisti. Dal promontorio garganico o dai Monti Dauni si può osservare l’intero Tavoliere, i pochi estesi agglomerati urbani e un immenso spazio vuoto lungo ca 80 chilometri e largo 30 – 40.
Nel Medio Evo numerosi erano i casali e le chiese rurali. Poi nel ‘400 con la destinazione a pascolo scompare ogni insediamento umano. Abolita la ‘mena delle pecore’, agli inizi dell’Ottocento si formano vasti latifondi, coltivati solo a grano, senza miglioramenti fondiari o diversificazioni produttive. Ancora a fine Ottocento i tre torrenti (Cervaro, Candelaro, Carapelle) inondano vaste aree verso la foce. La toponomastica testimonia le vicende che si sono succedute: la transumanza (Posta Giudea, Posta Piana, Posta Rosa, Posta la via…), i tratturi che univano l’Abruzzo alle terre di Puglia, i bassipiani soggetti a impaludamenti (Innacquata, Cutino, Alma dannata, Maremorto…), gli altipiani abitati fin dal Neolitico (Cupola, Colmo d’Ischia, Monte Aquilone…).
Le costruzioni rurali nel territorio di Manfredonia testimoniano i rivolgimenti sociali ed economici che, dopo l’affrancamento del Tavoliere, portano all’affermazione della borghesia agraria. Nell’Ottocento le famiglie più ricche edificano case per la villeggiatura estiva (casini), in un territorio dove ci sono vaste masserie e successivamente borghi e poderi di epoca fascista e dell’Ente Riforma. Tutti in rovina. E, in estate, quando tira il “favonio”, somigliano a quei villaggi fantasmi del cinema western italiano. In questi anni si possono vedere in poderi cadenti, uomini, donne e bambini che vengono da lontano e provano a sistemarsi e a vivere.
Il Tavoliere è spopolato e le vaste aree basse attirano l’attenzione della criminalità. La mafia non costruisce industrie, si occupa però di rifiuti. Una vasta superficie è stata già interessata tre anni fa, un’indagine di cui nessuno parla più. Via del mare (un tempo Via della Fame) collega la litoranea con le zone interne del Tavoliere, a sinistra si apre un’area, con terreni a grano o incolti, a perdita d’occhio, molto più bassa del manto stradale. Si possono versare migliaia di tonnellate di rifiuti senza che nessuno se ne accorga. Strade impraticabili, lungo quella che va verso Cerignola, con grossi cartelli: “Strada chiusa. Divieto di transito”. In contrada Innacquata, incontro due anziani agricoltori di Manfredonia, in una masseria che era un convento – ospedale all’epoca della transumanza. “Le strade dissestate scoraggiano le coltivazioni… poi i furti, l’elettricità che manca all’Alma dannata…” Raccontano di cacciatori venuti dal casertano e di terreni acquistati… forse per essere colmati di rifiuti? Vi sono in tutto il Tavoliere pozzi artesiani dismessi, centinaia. Lì sono stati scaricati rifiuti liquidi. Scarne notizie appaiono sulla stampa, presto dimenticate. Il problema dei pozzi artesiani dismessi deriva dallo sfruttamento dissennato delle falde acquifere che ha provocato un abbassamento del suolo. Un commento, su un articolo on line di un paio di mesi fa che rifiutava l’ipotesi di un progetto industriale (trasformazione dei rifiuti in biogas) nei pressi dell’aeroporto di Amendola, diceva: “Nessun territorio in Italia è così vasto e disabitato… come sperate di tenerlo così?”.
Ma l’agricoltura c’è, pur con strade dissestate, produce. Si trasforma. C’è un ricambio generazionale. Resta il problema dell’acqua. La diga di Occhito, costruita negli anni 1958 – 1966, è un’opera di vitale importanza per la Capitanata, acqua per uso civile e per l’agricoltura. Il collaudo, effettuato nel febbraio dello scorso anno, è stato positivo. I tecnici, però, avvertono che la gestione dei grandi invasi è un compito impegnativo e le istituzioni devono consentire nel futuro un monitoraggio adeguato all’evoluzione tecnico scientifica.
La proposta di unione con il Molise (la Moldaunia) è svanita. La Daunia è una provincia vasta, l’agricoltura è un pilastro economico importante (e la diga di Occhito è insufficiente), il territorio è fragile. Il Recovery plan? Il piano paesaggistico territoriale regionale offre alcune buone indicazioni. Ma non vi sono ceti politici preparati e classi dirigenti capaci di generare idee e progetti. Un tempo c’erano i vigili campestri (giravano a cavallo e poi in Moto Guzzi), sorvegliavano le campagne come lo spazio urbano. Oggi si può essere sindaci, consiglieri, assessori senza avere alcuna conoscenza del territorio rurale.