Settembre di nostalgia. Quella di Adamo ed Eva, di esuli e migranti e quella del lockdown.
Pasquale Gagliardi, arcivescovo di Manfredonia dal 1897 al 1929, sosteneva che settembre era il mese più malsano: umido, nocivo alle vie respiratorie…
Non aveva torto, imperversava la malaria, c’erano le paludi, alta la mortalità. A Settembre andava in vacanza nella nativa Tricarico, dove si ritirò dopo la rinunzia all’episcopato per le polemiche sul caso Padre Pio. Settembre da decenni per il Sud è il mese delle partenze e della nostalgia. Le ferie degli nostri emigrati coincidono con le vacanze al mare e la festa patronale. Con la pandemia, un distacco per tutti, vicini e lontani, durato 7 – 8 mesi
Nostalgia. La parola è del ‘600, coniata dal medico svizzero Hofer per descrivere la malattia dei suoi connazionali, soldati mercenari in luoghi lontani, che si consumavano nel desiderio di tornare (nostos – ritorno e algos dolore), Ritenuta una patologia, poi considerata un sentimento agrodolce con cui convivere. Ha nutrito l’arte e la letteratura. C’è chi (Frye) scomoda la Bibbia: “Cacciati dal Paradiso terrestre, Adamo ed Eva, mentre preparano l’esca per pescare o le frecce per la caccia… rimpiangono il Paradiso perduto“.
E se la nostalgia fosse un doppio sentire, una doppia anima che rafforza la nostra vita interiore? E se contribuisse a cogliere nuove opportunità? Abbiamo provato nostalgia durante il lockdown e forse ci ha stimolati a capire cosa è indispensabile. La nostalgia ha aiutato Primo Levi e Victor Frankl nei campi di sterminio a resistere, a pensare che il mondo non era solo “male assoluto”. La vittima di una relazione violenta può trovare nei ricordi e nella nostalgia di altri amori e amicizie la forza di reagire a un rapporto tossico. Immagini di ricordi piacevoli sono utilizzati frequentemente nella cura della demenza senile…
Nell’Europa di esuli. migranti, stranieri, la nostalgia è condizione diffusa. E’ misterioso il legame con la terra e i luoghi nativi, che acquisiscono un valore, un’anima, quando si è lontani. Il viale percorso per andare a scuola, la villa, l’angolo del primo appuntamento, una fontana, un bar… Non c’è una spiegazione. Possono essere gli odori, i profumi, le voci… che attraggono, come calamite. La memoria aiuta a vivere. Anni fa, tornando da Napoli, dove avevo svolto ricerche per la tesi di laurea, in treno incontrai un signore; appena seppe che ero di Manfredonia, divenne affettuoso, loquace… disse che la sera avrebbe fatto una passeggiata con la moglie sul porto, avrebbe comprato il pesce dove sapeva lui, la mattina si sarebbe seduto all’angolo della strada per ascoltare l’orologio del campanile… Scese dal treno alla fermata prima di quella centrale. “Sono stato in carcere 5 anni. E’ meglio se scendo qui”, mi sussurrò abbracciandomi. Non l’ho più rivisto.
Gli emigrati sono i maggiori custodi delle parole del dialetto, di oggetti “addomesticati e sacri” (il macinino e l’atto di macinare il caffè, un rito, un gesto di ospitalità e amicizia), rimpiangono le arene estive, il paesaggio cambiato, il recinto che prima non c’era… Li ho visti prepararsi pane, pomodoro e origano con gesti lenti. Sono riconoscibili le persone che vivono fuori per come gustano i cibi locali o passeggiano o guardano i luoghi. Lo fanno con un piacere che si trasmette, una umiltà e un senso di gratitudine che non hanno più i residenti. La memoria personale è una risorsa importante. Quando si trasforma in collettiva diviene pericolosa, perché si nutre di forme ideali, astratte, mai esistite.
Un buon sentimento, la nostalgia, da visitare, non da abitarci. Da tempo qualcosa è cambiato. La sporcizia, l’incuria, l’assenza di piste ciclabili. La popolazione, con i giovani andati via, più chiusa, segnata dal lamento e dal rancore. Quelli che stanno fuori soffrono per la mafia più dei residenti. Ne provano vergogna. Quest’anno si parte senza i festeggiamenti della festa patronale, e poi non si sa quando si potrà tornare. E alcuni non sanno se potranno partire. Molti lasciano i genitori sempre più anziani e soli e le vicende di quest’anno (case di riposo) non li lasciano tranquilli. Non sono più orgogliosi del loro paese d’origine.