Le strade del Sud vuote di processioni e madonne. E non si tratta solo di tradizione e identità.
Il territorio di Capitanata, fin dai primi secoli dell’era cristiana, è interessato al culto della Vergine e al ritrovamento di icone attribuite al “pennello di S. Luca”. Quella di Siponto è tra le più antiche. Ne parla il Codice Diplomatico delle Tremiti.
Nel 1064 e nel 1068 l’arcivescovo Gerardo cede all’abbazia S. Maria delle Tremiti due saline in cambio di “scaramagne” (tuniche) e icone per ornare la grande Basilica di Siponto. Sono presenti diaconi e presbiteri, giudici e “idonei homines”. Una delle icone è “superaurata” e raffigura la genitrice di Dio. I monaci tremitesi avevano un’officina d’arte dove producevano vesti sacre, oggetti per il culto, icone, sul modello di qualche prototipo del vicino oriente. Le saline erano beni redditizi e richiesti, si estendevano lungo il litorale Sud, dove vi erano insediamenti umani sparsi, e dove si ha notizia di due chiese: S. Cristofaro in Salinis, non lontano da Siponto, e, più distante S. Maria in Salinis.
La costruzione della Cattedrale a Siponto (uno dei più precoci esempi di impianti basilicali pugliesi ) ha inizio nel IV – V secolo. Il culto della Madonna di Siponto potrebbe risalire a questo periodo e cioè all’epoca della partecipazione del vescovo Felice al concilio del 465, in cui si rafforzò la diffusione del culto della Vergine. Ne è esempio la statua lignea la Sipontina (VI secolo), detta “dagli occhi sbarrati”, perché “costretta” ad assistere ad uno stupro. Nella ricerca del colpevole il Papa Gregorio Magno dice al vescovo di consultare i “sapientes viri”. In momenti difficili, in assenza di un’autorità civile, il coinvolgimento di sapientes e probi viri o boni homines nelle vicende della comunità è un fatto ricorrente. Gli storici parlano di un “embrione” di “Comune” a Siponto, che anticipò esperienze successive più mature del Nord d’Italia.
Un culto antico, fortemente radicato. La “Sagra sipontina” pare sia iniziata spontaneamente in una epidemia di colera a metà Ottocento. A Settembre prima e poi fissata al 30 agosto. Proprio il 30 agosto 1872 il sacro tavolo subì gravi danni per un incendio. Un’icona fragile e restaurata più volte. Alcuni anni fa la necessità di un intervento urgente obbligava a portare in processione una copia. Il vescovo (D’Addario) ne parlò in Cattedrale a “idonei homines” dei nostri tempi. Qualcuno dei presenti sentenziò:”Il popolo non vuole, si ribellerà“. Si temevano proteste, giunsero avvertimenti. Nel pomeriggio la piazza era gremita, vociante, il quadro traballante uscì dalla porta della Cattedrale e appena fu girato verso la piazza, improvvisamente un silenzio assoluto, totale. Un applauso spontaneo, unanime. Molti piangevano. Da lontano si scorgeva il volto, lo sguardo… Gli occhi, velati di compassione, misericordia, dolcezza, mestizia, sembravano accompagnare i destini di ciascuno.
La Cattedrale di Siponto, accresciuta con Lorenzo nel VI secolo di due navate laterali, subì attacchi e saccheggi, fu ristrutturata dall’arcivescovo Leone nella rinascita culturale e civile dopo il mille. Tutte le fonti mettono in evidenza la grandezza, la vastità del tempio. Con la fondazione di Manfredonia il clero si divise, alcuni officiavano a Siponto, altri nel nuovo Duomo dedicato a S. Lorenzo; nel 1301 i primi elessero vescovo un loro confratello, i secondi un altro. Papa Bonifacio VIII annullò entrambe le nomine, scelse lui l’arcivescovo e cancellò il privilegio del clero locale di eleggere il vescovo. Siponto rimase, però, chiesa metropolitana con un canonico a custodire l’icona della Vergine. L’antica Cattedrale si deteriorò ulteriormente, i tentativi di ristrutturazione del 1500, furono vanificati da saccheggi e guerre. Rimase una “sontuosa cappella in pietra quadrata”. E’ l’attuale S. Maria Maggiore, che è solo un “rampollo” dell’antica, grande Basilica, continuatrice e perciò la madre di tutte le altre chiese. Ad essa ora si affianca la pallida e piccola ricostruzione aerea di Tresoldi.
In questi giorni non è la Madonna che percorre le vie, ma le persone che le rendono visita e possono cogliere, nella moltitudine di sentimenti di quello sguardo, motivi per interrogarsi e dare un senso al proprio cammino. Ha destato sempre stupore il numero e l’eterogeneità sociale e culturale del popolo partecipante alla processione. Un radicamento nato, come in altri luoghi, dal racconto di generazione in generazione, che spinge a una rinnovata passione per l’umanità e il mondo e porta nelle strade del mondo il ricordo e la nostalgia di madonne e santi patroni.