Still Life. La morte delle persone sole. La storia di Rosa… e quella di John May

CULTURA

A Milano su un terreno incolto c’è un’area destinata alla sepoltura di chi, morto per il Covid, non ha familiari. Il Campo 87.

La prima inumazione il 13 marzo. Finora oltre 120 croci bianche. Alcuni nomi tradiscono ancora l’origine geografica di una città popolata da immigrati meridionali: Carmine, Domenico, Affortunata… Ne parla la giornalista Alessandra Coppola su “La lettura”. Alcuni parenti arrivano adesso, come i figli di una donna musulmana, esprimono il disagio di pregare su una croce. Si tranquillizzano quando sanno che il simbolo può essere cambiato e che dopo due anni le tombe potranno essere riesumate, cremate e portate dove preferiscono. Alcune sono storie di indigenza, altre di solitudine, la maggioranza sono cittadini italiani. Sono inumazioni normali e non fosse comuni.

Ci sono i milanesi, come Rosa Cattaneo, 80 anni, una signora riservata, informata e colta, viveva all’ottavo piano, i vicini la conoscevano e facevano la spesa per lei, da quando con il Covid non usciva di casa. Un suo ex collega (lavoravano insieme per una piccola casa editrice di libri d’arte poi fallita), avvisa la vicina che Rosa non risponde al telefono. Viene trovata un po’ confusa, ma si riprende, si convince a trovare una badante, ma non è facile la ricerca a Milano in questo periodo. Intanto legge un libro recente di Isabel Allende, che avrebbe passato alla vicina appena terminato. Poi cede… il 21 marzo l’ambulanza la porta in ospedale molto grave, due giorni dopo muore. Il suo appartamento è chiuso, una casa curata, piena di libri. Le piante del terrazzo saranno ripiantate nel giardino condominiale. Le persone dello stabile si ripromettono di farle visita al Campo 87.

Corpi sepolti con un nome, una identità conservata, tombe che permettono di stabilire un filo esile con i viventi. Qualcosa di normale e semplice ma non scontato. Nel Novecento nemici e gruppi sociali sono stati odiati e rifiutati al punto da far sparire il corpo. Il magistrato Giuseppe Volpe ha affermato che sul Gargano il “90% dei morti di mafia non hanno il volto, perché occorre cancellare la memoria”. Il Mediterraneo ha restituito migliaia di cadaveri, oltre la metà dei quali mai identificati, L’Italia ha tentato di dare un nome a queste vittime, con il recupero dei corpi di uno dei tanti naufragi, per dare un’identità a ragazzi che avevano in tasca una tessera di biblioteca, un sacchetto di terra, una pagella…

John May è un funzionario comunale che lavora alla ricerca dei parenti delle persone morte in solitudine. E’ diligente, sensibile, va nelle case dove la persona è morta o vissuta, per trovare segni, luoghi frequentati, raccoglie fotografie, lettere, cartoline, ritagli di giornali… Come un detective, per individuare possibili parenti, amici. Cercare di conoscere donne o uomini che non hanno più nessuno che li pianga e li ricordi. Lui scrive i discorsi celebrativi, seleziona la musica forse amata, l’orientamento religioso o culturale del defunto. E’ presente ai funerali, a volte da solo. Un lavoro che ama e che svolge con grande cura, discrezione, rispetto.

Siamo a Londra dove ogni comune ha un servizio preposto a questo ufficio. John May, per un ridimensionamento del personale deve essere licenziato, anche perché è troppo lento. E’ triste e amareggiato, ne prende atto, ma chiede al suo superiore di dargli ancora pochi giorni per chiudere l’ultimo caso. Quello di Bill Stoke, un vecchio alcolizzato, che pure aveva avuto un passato felice. Un passato di cui fa parte la figlia Kelly. John è capace di resuscitare la vita, dare dignità e giustizia a coloro che la vita nel suo corso ha sopraffatto. Still life, un film sulla vita, sulle esistenze semplici e dimenticate. Il regista è Uberto Pasolini, italiano che vive e lavora a Londra, e che prima di girare il film ha conosciuto i dipendenti addetti, ha girato in tante case, ha assistito, da solo a molti funerali.

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