Le molte guerre intorno al coronavirus. A perderci è la salute delle persone e l’intero Paese
Ne usciremo fuori, certamente. Intanto c’è la perdita della fiducia, anche nella scienza, E la fiducia non è una merce che si acquista.
Un mio amico doveva partire per visitare i parenti a Bologna. “Sono stato davanti alla Tv tutto il giorno… le notizie, i litigi… mi sono spaventato, non sono partito”. Come lui tanti altri.
Le molte guerre. C’è quella del premier Conte che deve confermare la sua leadership. Non pochi sono stati gli errori, con la solita modalità di non ammetterli, nascondendo se non accusando. Si aprono polemiche (a mala pena sopite) con le regioni, i medici, le università. Troppa e invadente la politica, poca e marginale la scienza.
C’è la guerra più che contro il coronavirus, tra gli scienziati. Una lite, senza dosare parole e aggettivi, tra chi dice che è una banale influenza, e chi evidenzia il numero notevole di coloro che sono in terapia intensiva. La scienza in televisione è questione delicata. Gli scienziati sono cercati più per fare previsioni che per informare. Non sono indovini, ma persone che possono spiegare di cosa si tratta, cosa avviene… ed è normale che su certi aspetti abbiano opinioni diverse.
“Basta panico. Ricostruiamo la fiducia“. Dicono i politici. C’è una storiella ebraica, Un padre dice al figlio di saltare da una finestra. Il ragazzo è un po’ spaventato, esita. “Non ti fidi di me?” dice il padre. Il ragazzo salta e si fa male. “Ecco adesso sai che non devi fidarti di nessuno”. La fiducia (che non è credulità) è essenziale nella comunità. E’ come l’aria che respiriamo: ce ne accorgiamo quando viene a mancare, se si perde non è facile recuperarla. E ha bisogno di gesti e azioni più che di appelli e parole.
Ha un ruolo fondamentale nella relazione medico – paziente. Ancor più nella situazione attuale, per questo sono necessari protocolli sanitari trasparenti, con parti vincolanti e altre di indirizzo: ci sono scelte, situazioni particolari, aperture e chiusure, che possono e devono essere decise a livello regionale, se non territoriale.
Ieri in televisione hanno fatto vedere la Basilica di S. Marco a Venezia. Pulivano i pavimenti, le sedie, le mettevano in fila. Finalmente le chiese si aprono, penso. No. Il rito (le ceneri) è celebrato nella chiesa vuota ed è trasmesso sul web. Che tristezza! Possibile che non si sia cercata una mediazione, far entrare un numero chiuso di persone, tenendo la distanza raccomandata? Magari gli anziani. Sì, quegli anziani che sono stati citati spesso, in modo cinico e triste. “Ci sono 12 morti, ma erano malati, anziani…” e qualche gesto della mano lasciava capire che sarebbero morti ugualmente. Uno dei tanti esperti ha detto in modo più delicato: “Sono morti con il virus, non per il virus”. Sono aperti i supermercati, si entra a gruppi di 30 – 40, anche nelle zone rosse, e perché non possono stare aperte le chiese, i musei… con le stesse condizioni?
Sembra che lo Stato sia in guerra con le comunità. Come spesso accade, o è assente o quando c’è, impone, tratta i cittadini da sudditi. Invece c’è bisogno di collaborazione, responsabilità. Come avviene in altri Paesi europei. Come in una guerra, dicono i cronisti. Nessuno sa che cosa avviene dentro le zone rosse. Certamente non si vive bene.
Il Boccaccio all’inizio del Decamerone descrive il paesaggio terribile a Firenze nella peste del 1348, poi introduce un gruppo di giovani (7 donne e 3 uomini) che decidono di scuotersi: andare fuori Firenze, in una villa e provare a vivere. Passeggiano, parlano, stanno bene insieme. Nel pomeriggio decidono di raccontare ciascuno una novella, così è nato il Decamerone, all’ombra della peste. A Manfredonia chiude il teatro Dalla, mentre fino a due giorni fa vi è stata la folla e il mescolamento di migliaia di persone per il carnevale. Forse bisognerebbe chiudere anche Corso Manfredi! C’è giustamente preoccupazione economica per il turismo, ma i luoghi hanno valore in sé, proprio perché permettono alle persone di incontrarsi, ragionare, parlare.