Suicidio assistito. L’inerzia del Parlamento e del governo, prima sovranista e ora umanista.
Non è punibile il suicidio assistito “a determinate condizioni”. La Corte Costituzionale parla di un paziente tenuto in vita artificialmente, con una patologia irreversibile, fonte di sofferenze insopportabili…
No all’accanimento terapeutico e no all’eutanasia. E’ uno schema troppo semplice e la realtà quotidiana è più complessa. Da S. Giovanni Rotondo due storie. Le racconta un medico di famiglia. “A una donna di 90 anni viene diagnostico un tumore al colon. I familiari sono contrari all’intervento. Perplesso il chirurgo. In un primo tempo anch’io. L’anziana stava bene e l’intervento non si presentava complesso… Perché no! pensai. Subì l’operazione, e fece anche un po’ di chemio… E campò altri dieci anni. Non così un altro caso. Altra situazione. Un uomo più giovane, una settantina di anni. Parenti e medici… eravamo per intervenire. Lui non era convinto. Una chemio lunga… Non andò bene. E ripeteva ogni giorno… Ma perché non mi avete lasciato al mio destino?“. Due casi che dicono quanto sia oggi difficile scegliere. E come poi a decidere deve essere il paziente, correttamente informato, opportunamente sostenuto, coinvolgendo i parenti, il medico…
Fabiano Antoniani (dj Fabo), tetraplegico grave, cieco, tenuto in vita artificialmente, poteva chiedere di staccare le macchine che sostenevano il suo corpo, ma quanta sarebbe stata la sofferenza per sé e le persone intorno! Cappato lo ha accompagnato in Svizzera a morire.
La Corte di Assise di Milano si trova a giudicarlo in base all’articolo 580 del Codice penale del 1930 che mette sullo stesso piano l’istigazione al suicidio e il sostegno offerto a chi per libera convinzione sceglie di morire. I giudici distinguono tre comportamenti. Il primo è l’istigazione: si fa sorgere l’idea del suicidio là dove non c’è. Il secondo consiste nel rafforzare una scelta là dove vi sia un’intenzione appena accennata. Sono comportamenti che invadono la sfera decisionale del soggetto, viziandone l’autonomia e la spontaneità. Il terzo è l’aiuto che agevola una morte desiderata, perché la vita è insopportabile. Una morte che non può essere cercata con mezzi propri, ma attraverso un percorso che escluda ulteriori sofferenze. Tre condotte di diversa gravità, per le quali le norme in vigore prevedono una pena da 5 a 12 anni; una pena che risulterebbe non proporzionata per chi ha semplicemente accompagnato in Svizzera un malato che non ce la fa più, e chi invece ha istigato e pesantemente condizionato le scelta di una persona in una situazione di estrema fragilità.
La Corte Costituzionale con un procedimento inusuale già dal 23 ottobre del 2018 ha invitato il Parlamento a legiferare in merito, e ha aspettato un anno. Ha rinviato, pertanto, la decisione sulla costituzionalità dell’articolo 580 al 24 settembre del 2019, nella ragionevole speranza che il Parlamento italiano nel frattempo si pronunciasse. Il giudice costituzionale, infatti, è “legislatore negativo”, può cancellare una norma, ma non può disciplinare ex novo. Solo il Parlamento è in grado di regolare i temi delicati di fine vita: le modalità per verificare la scelta libera e informata della persona, la difesa dei valori professionali del medico, le cure palliative, l’assistenza domiciliare alla persona malata e ai familiari, la differenza tra assistenza medica al suicidio ed eutanasia (sono cose diverse)…
Ne ho già parlato agli inizi di Settembre su questo blog. Il Parlamento e il governo del Presidente Conte “sovranista” in un anno non si è mosso. Nemmeno ci ha provato. Ora c’è una nuova maggioranza, il governo del “nuovo umanesimo”… Sta da poco tempo, è vero, ma potrebbe almeno provare a mettere insieme un testo condiviso nelle linee generali, una base su cui discutere. A questi temi i giovani a scuola, le persone che seguono i talk show potrebbero appassionarsi. Parlare del fine vita significa parlare della vita, delle relazioni, della dignità della persona. E tutti, non solo gli intellettuali e i teologi, gli scienziati e i medici, proprio tutti possono avere un pensiero e una parola.