“E’ nato nu criaturo niro niro”. Quelli che cercano la madre ignota.

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Alla stazione di Legnano, molti anni fa, chiedo un biglietto per Manfredonia. L’impiegato mi guarda, turbato. “Posso parlarle”, mi fa uscendo fuori dall’Ufficio.

Un giovane non molto alto, robusto, di carnagione scura. “Io sono nato a Manfredonia”. Si commuove. “Sono venuto lì due volte in cerca di mia madre. Pensavo di aver trovato la via giusta. Poi niente. Forse torno di nuovo. Non voglio niente. Solo conoscere mia madre. Solo vederla”. Mi dice che è nato nel novembre del 1944 e poi portato in un orfanotrofio. Il padre: un soldato nero americano.

Nel 2004 ricevo la visita di un regista abruzzese. A una trasmissione della Rai erano arrivate diverse richieste di persone che volevano sapere notizie della madre. Alcune lettere davano Manfredonia come luogo di nascita. Tutti nati tra il 1944 e il 1945. Voleva verificare la possibilità di un servizio televisivo. Aveva alcuni nomi, medici di famiglia, levatrici, vigili sanitari… Non trovò collaborazione. Dopo 3-4 giorni ripartì.

Ci sono racconti dei rapporti degli italiani colonizzatori con le donne native in Somalia ed Abissinia. Si parla di ca 15.000 figli mulatti abbandonati in quei paesi al rientro in Italia nel caotico dopoguerra, cui corrispondono le storie di quanti sono nati dalle relazioni (o violenze) tra donne italiane e soldati neri. Numerosi a Manfredonia, dove si trovava un battaglione di afroamericani e la sede di un comando alleato importante: nel Tavoliere vi erano gli aeroporti per bombardare le linee tedesche e la Germania. I neonati venivano collocati in orfanotrofi, e forse vi erano persone dedite a questa attività. Il fenomeno era così esteso e male giudicato da spingere organizzazioni come quella di don Gnocchi, fondatore di opere assistenziali per l’infanzia del dopoguerra, a tentare di trasferire negli Usa o in Brasile i bambini neri. La Tammurriata nera è una straordinaria canzone della fine del 1944. “Io nun ci credo… Io nun capisco… E’ nato nu criaturo niro niro… Sti fatte nun so’ rare, se ne contano a migliaia”. L’attore Antonio Campobasso è l’autore di un crudo racconto autobiografico dal titolo Nero di Puglia. Altri romanzi e film ne parlano. Ci furono processi famosi. Un capitolo di storia trascurato e rimosso, utile per comprendere il nostro difficile rapporto con la diversità e la razza.

E’ significativo, importante questo bisogno di conoscere la propria storia, sapere la verità e come sia necessario nell’affido e nell’adozione, con i tempi giusti, dire la verità. Un paio di anni fa la Cassazione si doveva esprimere sul caso di una bambina adottata già da sei anni, dopo l’allontanamento dalla famiglia di origine, ritenuta inadeguata e inadatta, o meglio “poco accudente”. I genitori naturali, dopo altri gradi di giudizio, sono stati giudicati diversamente e pertanto richiedevano la loro figlia. Che fare? Una bambina di sei anni (non aveva mai conosciuto i genitori biologici) si doveva misurare con uno sconvolgimento degli affetti e della sua vita. Non dire niente? Lasciar le cose come stavano? “Per anni sono stata giudice minorile, posso confermare che da me sono venuti tanti uomini e donne, anche di 70 anni, che erano stati dati in adozione da piccoli, che volevano sapere chi erano i genitori biologici e recuperare un rapporto con loro” (Francesca Ceriani).

Molti anni fa un giovane si recò in una zona rurale dell’Ente Riforma, “con una bella macchina e ben vestito”, sottolinearono quelli che ci parlarono. “Io sono nato qui, tra questi poderi”, sosteneva. Mi chiesero se ne sapevo qualcosa perché lì avevo frequentato le scuole elementari. E mi sono ricordato delle voci di una madre poco più che bambina. Poi portata in città. Ricordo anche un vecchio morto da qualche tempo. Mi raccontò che lui era stato portato “alla ruota” e poi in orfanotrofio. Aveva avuto una vita intensa e una numerosa famiglia. Aggiunse poi tra le lacrime: “Devo morire senza aver conosciuto mia madre, i miei genitori. Da dove vengo…”

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