Padre Pio e i politici. Ma senza religione non c’è democrazia, né Europa (lo dice Habermas)

CULTURA

Si prospettava un dibattito elettorale vivace e polemico, pieno di proposte e di possibili cambiamenti.

Invece in giro c’è solo propaganda. La campagna elettorale (in Italia almeno) è solo rivolta alla politica interna e ai possibili mutamenti dei rapporti di forza tra i partiti.

I sovranisti europei si fanno scudo di una tradizione religiosa dichiarata e gridata, di segni esibiti, e di ostilità nei confronti di chiunque possa alterare questa identità. I populisti italiani, a loro volta, si rivolgono al santo popolare per eccellenza. Come la visita di Salvini a Pietrelcina nei luoghi di Padre Pio, visita privata ma ben pubblicizzata. “Rendo omaggio a un grande uomo che ho studiato, apprezzo, al quale chiedo consiglio ogni giorno”. Il presidente del consiglio Conte nel settembre dello scorso anno ha reso anch’egli testimonianza televisiva della sua fede, esibendo l’immagine, che porta sempre con sé, di Padre Pio. E ora a S. Giovanni Rotondo si aspetta Di Maio. Il frate viene proposto come modello per i politici e la politica.

Sono originario di S. Giovanni Rotondo e ho due ricordi di Padre Pio. Avevo 7 – 8 anni, ero con mio padre e mio zio, entrambi conoscevano Padre Pio e con lui quel giorno avevano un appuntamento. Ci trovavamo nel vecchio convento: un corridoio lungo e stretto, che deviava ad angolo retto, e lì vidi un uomo che si allungò per terra, Padre Pio se ne accorse all’ultimo momento, capì che stava in quella posizione per baciargli i piedi mentre lui passava, e si tirò indietro di scatto: “U’ pacce, vattinne (pazzo, vattene)”. Lui si esprimeva spesso in dialetto. Il secondo incontro è avvenuto forse un anno dopo. Mi trovavo con i miei nella sacrestia della chiesa antica. Padre Pio entrò sorridente, improvvisamente sul tavolo dei paramenti sacri due uomini gli srotolarono davanti tanti fogli. Padre Pio si allontanò, irritato e borbottando: “Ma che ne capisco io! Che ne capisco!”. Erano di Barletta, dove pochi mesi prima era crollato un edificio ed erano morte 58 persone. Volevano fargli vedere il progetto di un nuovo palazzo, forse gli avrebbero chiesto una benedizione. Rimasi, come la prima volta, dispiaciuto per come quelle persone erano state trattate.

A nulla valsero le spiegazioni e le giustificazioni di mio padre, quelle due esperienze furono sgradevoli. E tali rimasero a lungo. Poi, dopo alcuni anni quella ruvidezza e scontrosità mi sembrò autenticità, un modo severo e necessario di impostare i rapporti con i suoi fedeli, ed anche insofferenza a ogni forma di utilizzazione della sua immagine.

Jurgen Habermas, uno dei grandi filosofi europei, ha posto da tempo la questione del ruolo della religione nella comunicazione pubblica e politica. La previsione: più modernità e meno religione, non si è avverata. Interrogativi vecchi e nuovi non riescono a trovare nella ragione e nella scienza risposte adeguate. Le immagini di migliaia di parigini che pregano e cantano nella notte dell’incendio di Notre Dame ne sono un piccolo segno. Per Habermas i cittadini credenti illuminati e anche le persone religiose più semplici possono offrire un contributo alla democrazia e ai processi di convivenza politica. “Le tradizioni religiose hanno lo speciale potere di esprimere intuizioni morali, soprattutto con riferimento alle forme di vita vulnerabili, che potrebbero aiutare tutti, in particolar modo gli individui secolarizzati e non credenti a scoprire intuizioni proprie, nascoste o represse”. Oggi, nella Babele della comunicazione pubblica e politica, la religione può contribuire al dibattito sulla crisi dell’Europa, paralizzata da visioni diverse, incerta sulla sua identità. Un’Europa con tre radici: Atene, Roma, Gerusalemme, sulle quali nel corso dei secoli si sono innestate e intrecciate altre idee e visioni. Una identità plurale? Una non identità? Forse è questa la ricchezza, la bellezza, e anche lo scandalo, il rischio dell’Europa.

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