Inizia la primavera: festa della natura e della poesia (e pure un po’ della canzone)
Anche Dante inizia il suo viaggio nell’equinozio di primavera, “la dolce stagione”.
Tutti (ma proprio tutti) nell’arco della loro esistenza sono in grado di scrivere una buona poesia. Non solo d’amore, anche di gratitudine, di stupore, di sofferenza davanti alle perdite e ai lutti… Momenti unici in cui l’anima è sgombra e senza difese e le cose ci appaiono nella loro semplicità e nudità. Molti sentono il fascino e le suggestioni della scrittura poetica, e ci provano: appunti, schizzi, note di dolore, di meraviglia, del tempo che scorre. E’ viva la poesia dialettale, che ridà calore e colore a parole e impressioni spesso rese in modo scialbo e impersonale in lingua italiana. Ci sono, poi, recite pubbliche di poesie, come nella Grecia antica, quando, prima dell’invenzione della scrittura, i miti, gli amori, gli eroi, trovavano cantori che li esaltavano nelle feste, nei grandi riti civili, nei funerali.
La poesia è viva, e lo è anche in quei componimenti di-versi che sono le canzoni, che hanno avuto un grande cambiamento rispetto a 50- 60 anni fa. Allora il testo di una canzone presentava una piccola storia, quasi sempre d’amore: l’ebrezza iniziale, la partenza dell’amato/a, la lontananza, il piacere di ritrovarsi, la delusione… Il testo era semplice, si sviluppava con una coerenza logica lungo una sola tematica chiara. Quando Celentano presentò Il ragazzo della via Gluck nel 1966 al festival di Sanremo, con la sua tematica ambientalista e autobiografica, sconvolse e meravigliò.
Tralasciando i grandi cantautori, i cui testi sono spesso piccoli capolavori poetici, negli ultimi decenni le canzoni esprimono le esperienze dirette e personali degli autori, sono allusive, tra i versi non c’è legame logico, non un discorso lineare, la sintassi è spezzata, ci sono accostamenti di immagini e di emozioni. Un collage che a leggerlo presenta difetti, sembra che non dica niente, ma poi c’è la musica, i suoni, la voce… Il “paroliere” ha imparato la lezione della lirica moderna. La lirica, secondo la definizione della Treccani, è un componimento che esprime la pura soggettività del poeta. Le canzoni, quindi, descrivono le riflessioni intime e i cambiamenti interiori, il repertorio tematico si è ampliato, l’amore non è più centrale come negli anni 50-60, si affrontano altri temi (ambiente, diversità, integrazione). Poesia e canzone si sono avvicinate molto. Per cui a leggere il testo di molte canzoni spesso si è costretti ad ammettere, come per la poesia simbolista o ermetica: “Questo che vuol dire?” Poi come per incanto, in un concerto, nell’ascolto collettivo, il senso viene ritrovato da ciascuno dentro di sé.
Mi dicono che a Manfredonia hanno successo i corsi di filosofia per bambini, i quali rispondono alle provocazioni e alle domande in forme e toni che meravigliano e sorprendono. E mi domando perché non si prova a coinvolgere i bambini nella creazione poetica. Il filosofo Giorgio Agamben dice che filosofia e poesia corrono insieme. Se la prima esprime amore per la verità, la seconda amore per la parola. Per questo la poesia (la libera creazioni di immagini ed emozioni) è usata nel superamento dei conflitti, nell’integrazione, addirittura nel ricucire i traumi dei genocidi in Africa.
Definire la poesia è forse impossibile. La poesia sia quella che leggiamo che quella che proviamo a scrivere ci aiuta a fare esperienza della parola, a trovare quella giusta, ad amarla, a darle valore. Amare la parola significa darle la forza di resistere alle manipolazioni, alle falsificazioni, all’uso strumentale e appiattito nel linguaggio della politica, dell’informazione, della comunicazione quotidiana. Per questo la poesia è oggi più che mai necessaria.