Il pescatore che non riconosce il porto e l’identità avvelenata di una città del Sud
Che cosa c’è in una città? Le persone, le case, le piazze e le strade, gli spazi pubblici e gli spazi privati. C’è la dimensione pubblica e rappresentativa, lo spazio dei riti religiosi e politici, i luoghi informali per le interazioni sociali spontanee, lo spazio del mercato e degli spettacoli, dell’istruzione e della cultura, del tempo libero e del divertimento… Le città si reinventano in continuazione, si trasformano, “mutano più velocemente del cuore di un uomo”. Sono visitate più dei paesaggi naturali e delle foreste, sono occasione di arricchimento e speculazione, ostentazione e corruzione. E soprattutto subiscono saccheggi e distruzioni che hanno fatto perdere identità e memoria (se ne è parlato nell’Auditorium Serricchio in occasione della discussione del libro “Ritorno dal Sud”)
In quasi tutte le città medioevali il centro storico (normalmente tortuoso e contorto) resta di solito intatto, nelle parti nuove, invece, si registra spesso uno sviluppo caotico, sproporzionato… A Manfredonia non è stato così. Se un pescatore vissuto 60 – 70 anni fa ritornasse nel suo porto oggi, penserebbe di avere sbagliato approdo. Non riconoscerebbe la sua città. Quei segni familiari, inconfondibili e rassicuranti, che lo intimidivano persino, non si vedono o si intravedono labili e sbiaditi (il castello, il campanile, la Cattedrale con la semplice e decorosa facciata barocca, la linearità delle strade, la costa…), perché sono dominati, coperti da costruzioni e palazzoni enormi.
Se un emigrante, partito all’inizio del secolo, tornasse, non riconoscerebbe più piazza del Popolo, Corso Manfredi e Corso Roma, dove molti edifici eleganti e significativi sono stati sostituiti e si possono vedere ormai solo in qualche foto sbiadita in bianco e nero. Se volesse vedere la chiesa S. Francesco, sarebbe preso da un sentimento di turbamento, osservando “la brutalità con la quale l’antica chiesa medievale rimane isolata e sopraffatta da un orribile saracinesca di palazzi che la circondano” (D’ardes). L’immagine fotografata dall’alto è quella di una chiesa assediata, separata da una barriera di cemento dal torrione omonimo.
Lo scarso rispetto del patrimonio storico ha prodotto danni irrimediabili, con “sostituzioni assolutamente fuori luogo e fuori scala, grezzi, violenti, presuntuosi e poveri stilisticamente e linguisticamente” (Rignanese).
Il Centro medievale di Manfredonia ha ospitato case e persone per circa 6 secoli, e si è “conservato” fino alla metà del Novecento. Poi subisce (tra il 1961 e il 1968) un saccheggio che rompe simmetrie ed equilibri architettonici e visivi. Mentre altrove i fenomeni speculativi si sono riversati sulle aree nuove, qui è dentro il nucleo medievale che si attuano pesanti interventi che intaccano i luoghi simbolici della Comunità. Una modernizzazione malata, segno di un malessere profondo, un’operazione aggressiva, sostenuta dalla “borghesia cittadina”, che ha rovinato lo spazio di tutti, quello delle relazioni, degli incontri, il luogo di appartenenza e di identità.
Come è successo? Il centro storico di Manfredonia disegnato da Manfredi si è sviluppato nel corso del tempo, coniugando aspetti innovativi e rispetto dello schema originario. “Un organismo complesso”, con tipologie edilizie diverse, ma profondamente unitario e con un’arte edificatoria rispettosa dei vincoli e della tradizione. La prima lacerazione è avvenuta con la distruzione delle mura e delle porte. Nel 1869 è demolita Porta Foggia, uno dei simboli della città, ritenuta dall’assemblea consiliare, “un ingombro, che ricorda tempi di dispotismo e barbarie”. Ci furono proteste, richieste di ricostruzione, inutilmente. Il sindaco Capparelli manifestò più volte agli inizi del ‘900 l’intenzione di dotare la città di un piano regolatore, per evitare le “usurpazioni”. Ma nel 1912 fu abbattuta anche la porta verso la Montagna. La fine di Manfredonia “città murata” è avvenuta in tempi recenti, in anni in cui non mancava sensibilità culturale se nei consigli comunali si parlava di biblioteca civica, museo, scavi archeologici a Siponto. Una volta iniziato, il processo non si è più arrestato.