La partenza e il ritorno. Dal freddo Nord al Sud pieno di sole, di cielo e…
Come il primo volto, la prima voce, il primo sguardo. Così, e altrettanto importanti, sono i luoghi dell’infanzia che costituiscono l’inizio di guardare il mondo. Il cielo, il sole, le strade, le piazze, il mare… Non è la stessa cosa nascere in montagna o in pianura, al Nord o al Sud, crescere in campagna o in città. Come può essere il mondo guardato da qui? Che cosa penetra dentro di noi? I volti, i gesti, la luce, gli odori, le linee, i colori, i sapori… che diventano memoria, spazi mentali, immagini, carattere.
Il migliore apprendimento avviene di sorpresa e la strada è sempre stata la palestra formativa per i ragazzi del Sud, che tra i ricordi hanno (o meglio avevano) i giochi in strada e i luoghi all’aperto. E che cosa portiamo con noi quando andiamo via? Tutti lasciamo una città dove abbiamo vissuto momenti di gioia e di tristezza, dove pure i pini e gli eucalipti sanno ciò che ci fa soffrire e “dove la pioggia anche quando cade non è solo pioggia” (Sarajlic).
E’ quello che accade al protagonista di “Ritorno dal Sud”, un pamphlet di Matteo Pazienza, vivace e tagliente. Se ne parlerà a Manfredonia sabato 20 ottobre insieme a una mostra di quadri di Vittorio Marchesiello.
Il libro racconta una partenza verso una città fredda, pulita, ordinata, ragionata. Trova un mondo dove i giovani non bighellonano in giro, le strade sono lucide e silenziose, i negozi e i bar sono luminosi e vivaci. Ci sono tracce, segni floreali e romantici della città che era stata nel passato, ormai quasi scomparsi, come lo sono i cabaret, dove si poteva ascoltare la voce rauca di Lola.
Si vive bene, si lavora, si è apprezzati… Ma mancano i colori, l’odore aspro delle stoppie arse, il caldo favonio, il senso di libertà, gli ulivi che si perdono lontano. Un groviglio di immagini e sentimenti, fantasmi dove ci sono anche le invidie, i risentimenti, i pettegolezzi della gente del Sud… Un pensiero continuo, e quello che fa da richiamo è sempre “l’immagine limpida e chiara fatta di tanto sole, di tanto azzurro, di luce, di campi aperti e silenziosi”. Diffida della nostalgia. Deforma le cose. Ma si affaccia prepotente l’dea di tornare, “ritentare ancora una volta di viverci”. Forse qualcosa è cambiato nel Sud. E se invece avesse ancora ragione Tomasi di Lampedusa: Tutto cambia, perché tutto resti come prima? E se ai signorotti di un tempo si fossero sostituiti altri… spavaldi, cinici, prepotenti? Chi racconta è partito tanti anni fa, all’epoca del boom e qualcosa già allora iniziava a mutare, che non lasciava presagire molto di buono. Guarda con tenerezza anche i difetti: la pigrizia, l’indolenza e forse sotto sotto non vorrebbe nemmeno che il Sud cambiasse per davvero. La decisione di tornare è improvvisa.
Dall’alto, dall’aereo, come Icaro guarda il paesaggio. Una visione di insieme. Un territorio, una città si devono guardare dall’alto. E vede… un insieme artefatto, un sistema urbanistico dissestato, le aggiunte artificiali e vistose, che irrompono violentemente e prepotentemente… immensi centri commerciali, ampie aree da parcheggio, finti borghi antichi, discariche e rifiuti abbandonati, giganteschi caseggiati per le vacanze…
Non si distingue più dove finisce la città e inizia la campagna, è l’amorfo paesaggio italiano, con un enorme consumo del suolo. Infine l’incontro con la sua città. Le periferie: un “modernariato” confuso, casuale, generico, infantile… Costruzioni dove “ogni proprietario ha pensato in forma individuale, egoistica, anarchica soltanto a sé e alle proprie esigenze”. Periferie cresciute su indicazioni di Piani regolatori improbabili, gonfiati, piatti, tutti uguali… E le persone? E l’identità? I giovani che non ci sono? I clan e i gruppi di potere? Ed è possibile ancora impegnarsi nel Sud?