Politiche sociali, addio! Lo ha chiesto a viva voce il popolo sovrano.
Nell’era delle nuove parole non si fa caso a quelle che scompaiono. Politiche sociali? Welfare? Servizi di cura? Lavoro di rete? Di Maio somma due ministeri, ha detto. Invece sono tre. Vi è anche quello delle politiche sociali, le grandi assenti nel dibattito odierno italiano, al contrario di altri paesi europei. Eppure non sono passati molti anni dalla promulgazione di una legge importante, quella del “sistema integrato di interventi e servizi sociali” del 2000, che ha permesso di rendere più uguale l’Italia. Una legge che ha istituito i Piani sociali di zona e ha consentito anche ai piccoli comuni di avere servizi di cura, concertati tra comuni, sindacati, cittadini…
Il governo del cambiamento propende per i trasferimenti monetari rispetto a investimenti nei servizi, che avrebbero effetti anche sulla domanda di lavoro. Parliamo di Servizi educativi: integrazione degli alunni con difficoltà (5-6 in ogni classe), dispersione scolastica, i Neet (ragazzi che né studiano e né lavorano, sono oltre due milioni, concentrati soprattutto al Sud), e di Servizi di cura (in gran parte domiciliari), legati all’invecchiamento, alla non autosufficienza, alla salute mentale, che aiutano a conciliare lavoro e vita familiare.
Il governo propone l’innalzamento di pensioni minime, abolizione della legge Fornero, reddito cittadinanza… ma l’urgenza è quella di offrire un sostegno ad adulti non anziani con minori, sono la maggioranza tra coloro che si trovano in povertà assoluta. E gran parte sono bambini nati in Italia da famiglie straniere: negli ultimi anni una media di oltre 70.000 all’anno. Gli studenti con entrambi i genitori non italiani sono passati in un ventennio (1994 – 2014) da 44.000 a 800.000! Escluderli non è miopia, è cecità assoluta.
Di Maio ha contattato il professore Parisi, che nello Stato americano del Mississipi ha riformato i centri per l’impiego, creando 50.000 posti di lavoro in 8 anni. Tutto via Internet. E quanto tempo ci vorrà? Il reddito di inclusione (quello “famigerato” del PD) copre ora un terzo dei poveri assoluti, perché non triplicarlo e aumentarne l’importo fino ad arrivare alla pensione sociale minima? E si potrebbe partire anche subito. Oltre a Parisi, non sarebbe opportuno guardarsi intorno e vedere quello che c’è? Non siamo all’anno zero. Partire dall’esistente, per correggerlo, aggiustarlo… Questo sano pragmatismo non sarebbe Buon Senso?
Tra le cose esistenti ci sono i Piani sociali di zona. Striminziti e impoveriti, ma ci sono. In Puglia le nuove linee guida sono arrivate in ritardo, le risorse sono diminuite, quasi ogni giorno in Capitanata appaiono notizie di comuni che lamentano ritardi o minacciano di uscire fuori dagli ambiti territoriali. I piani sociali sono, però, l’unico strumento di pianificazione territoriale che mette insieme più comuni per programmare i servizi di cura (sociali e sanitari) e uscire fuori dall’improvvisazione. Hanno anche gestito forme di contrasto alla povertà e il reddito di inclusione. A Manfredonia si è acquisito una notevole esperienza perché sono stati sperimentati anche servizi innovativi, quali il microcredito, e non solo.
Il governatore Emiliano ha concentrato l’attenzione in Puglia solo sul Reddito di dignità (Red), una sua creatura, che affianca il reddito di inclusione. Un percorso parallelo, che ha creato non poche difficoltà. E proprio nei giorni scorsi ci ha tenuto a precisare che “la misura del reddito di Cittadinanza del governo sarà uguale al reddito di dignità pugliese… una politica attiva del lavoro, mista tra formazione e reinserimento”. In Puglia non c’è stata alcuna formazione e alcun reinserimento, perché non c’è lavoro. La disoccupazione è cresciuta in tutta la Regione e in Capitanata c’è una paurosa stagnazione. Ho incontrato dei beneficiari del Red, ai quali nessuno ha fatto alcuna proposta di formazione o lavoro; uno ha 4 figli, e non li manda nemmeno a scuola! La grande emergenza del Paese è che il 30% della popolazione è analfabeta “funzionale”, cioè non ha i mezzi elementari per orientarsi nel mondo, scrivere un curriculum… è senza competenze.