“Il posto” di Ermanno Olmi, carico di desideri, presto svuotati e sfumati
I cineforum arrivarono dalle nostre parti agli inizi degli anni Settanta. A Monte S. Angelo i film si proiettarono nel salone della Chiesa S. Francesco, un centinaio i posti, stipati, stretti, insufficienti. Le pizze (pellicole) arrivavano, tramite la corriera di linea, da Bari a Manfredonia, poi in macchina fino a Monte. Le tematiche di quegli anni: giovani, donne, famiglia, Sud… Ho ritrovato le schede preparate per il dibattito: la trama, il regista, altre notizie o giudizi, piste per la discussione. Il dibattito c’era sempre, ed era intenso, partecipato… e poi si continuava a discutere fuori, a scuola.
“Il posto” è il primo vero lungometraggio di Olmi, è del 1961 e aprì la rassegna montanara del 1972. I film di Olmi si prestavano alla discussione, non erano lunghi e avevano pause che erano tante domande. E’ la storia di Domenico che viene da un paesino della provincia lombarda a Milano per un concorso. Viene assunto come fattorino e poi impiegato. I colleghi sono persone mediocri, invidiose, indifferenti, pronte a scaricare lavoro e responsabilità sugli altri. Incontra Antonietta, anch’essa partecipa al concorso, è assunta nella stessa azienda, un rapporto semplice (sentito più da lui), che si estingue senza sapere perché. Domenico di fronte alla nuova realtà è disorientato, non è quello che si aspettava. “La conquista del posto di lavoro è cosa talmente desiderata, che difficilmente porta a vedere le cose e gli aspetti poco felici. E’ necessaria una carica interiore che spinga verso qualcosa spiritualmente più consistente… Solo così si allontana il pericolo di rimanere schiacciato dalla routine quotidiana e dalla mediocrità” (Olmi).
Il miracolo economico è stato descritto in tanti libri e film significativi, Olmi lo racconta a modo suo e cerca di guardare dentro. Uno stile personale che lo porta a non seguire le narrazioni consuete, ad essere davvero controcorrente. L’ultimo film di Olmi è “Torneranno i prati”: un gruppo di uomini in una trincea sotto 4 metri di neve: la bellezza e l’innocenza della natura, il buio delle gallerie, il nemico invisibile, anche Dio si nasconde… La grande guerra è stata raccontata e celebrata tante volte, ma questo film povero, essenziale non si dimentica. Olmi resta fedele, nel primo come nell’ultimo film, a un ritmo lento, a suggerire più che a dire, a far parlare le immagini, i primi piani, i giochi di luce… Le perplessità di Domenico quando prende “il posto”, nello stanzone con tanti banchi e altrettanti impiegati, non sono rese dalle parole, ma da un’ultima inquadratura, un primissimo piano che mostra il giovane con gli occhi sgranati che guarda intensamente nel vuoto, mentre si sente il rumore stridulo e sordo del ciclostile, lo strumento di comunicazione di quegli anni.
La domanda che molti si fecero quella sera: Domenico diverrà come gli altri? Riuscirà a conservare i suoi sogni, il suo sguardo semplice? Monte S. Angelo in quei primi anni Settanta era un centro socialmente e culturalmente vivace: la sinistra extraparlamentare (Lotta Continua), i gruppi giovanili dei partiti (PCI in particolare), il movimento degli studenti, i gruppi scout… Tutti i giovani che parteciparono a quel dibattito sono andati via e molti proprio verso Milano. Sarebbe interessante presentare il film ai ragazzi di oggi, che si apprestano anch’essi a partire!
In quel periodo (1967) da Milano scendeva giù a Manfredonia la “Società Umanitaria” (direttore per tanti anni e animatore discreto e appassionato è stato Michele Falcone, morto qualche mese fa). Un Centro di Servizi Culturali, che tra molte novità portò anche i cineforum. Per decenni l’intervento più proposto a scuola, nelle parrocchie, nelle associazioni.