Rivoluzione al Comune. Corsi di illusionismo e giochi di prestigio (e i problemi scompaiono)
C’è una frase detta da Luca Traini, l’autore della rappresaglia a Macerata, riferita dalla commessa di un bar: “Ora vado lì e ammazzo i neri”. Espressioni del genere circolano spesso… basta girare a piedi o andare al mercato. Le ultime (ascoltate presso un pescivendolo di Manfredonia e riferitemi da un’amica allarmata e spaventata): “Qui se non si fa qualcosa, ce li troviamo in casa! Bisogna armarsi e fare un po’ di pulizia e poi vedi se non prendono provvedimenti!”. Proprio così, e prima dei fatti di Macerata. Quasi sempre sfogo di un disagio e non una intenzione meditata. Sono le fasce più povere, che si vedono negare i contributi o misurano l’esiguità e i vincoli del Reddito di Dignità e simili, provvedimenti amplificati con enfasi eccessiva. Ma non sono solo i poveri. Sono pezzi estesi di società che non riescono più a controllare la paura e non vedono soluzioni all’orizzonte. “Homo non amat incognita”. Scusatemi la frase in latino, ma è comprensibile: l’uomo non ama le cose sconosciute. E’ sant’Agostino, che poi aggiunge: “amat scire incognita”. E cioè ama conoscere le cose sconosciute. Su questa curiosità e desiderio di conoscenza si basa lo scambio culturale e l’integrazione.
In una città del Sud c’era un camper donato dal Ministero dell’Interno per conoscere e seguire l’evoluzione della presenza straniera nelle campagne, specialmente i bambini, verificarne il numero, i bisogni… e poi c’era pure una scuola abbandonata e ristrutturata con fondi europei, dove insegnare la lingua italiana, i diritti e la legalità, dove parlare di questo universo sconosciuto che è l’immigrazione, un luogo dove manifestare le ansie e dove operatori sociali e culturali potessero aiutare i residenti e gli stranieri a incontrarsi senza paura. Casa dei diritti si chiamava. Un inizio promettente: sportelli e assemblee per spiegare leggi e normative, combattere il caporalato, scambi interculturali, corsi di lingua araba per gli italiani, musica etnica, e molto altro si preparava per il futuro. Nella festa di intitolazione, prima delle elezioni del 2015, c’era molta gente ed anche esponenti del maggiore partito della città: “Qui si possono fare cineforum ogni mese”, “anche ogni settimana, e pure concerti di musica etnica”, “un avamposto di informazione e mediazione culturale”.
Un anno di apertura. Dopo le elezioni del 2015 nessun immigrato è più tornato nella Casa o salito sul camper. Qualcuno ha provato a scrivere qualcosa, ha ribadito che la Casa dei Diritti era stata ristrutturata con i fondi europei per essere un luogo dove sperimentare l’integrazione… Si è reagito, come sempre in questa città, con fastidio, silenzio, qualche punta di insofferenza… Nessuna voce si è sollevata a difendere la corretta destinazione di quel luogo.
Ora ci sono delle novità in una città sempre attenta ai mutamenti, alle metamorfosi, allo scambio dei ruoli.
Accadde il 17 giugno 1953: gli operai berlinesi protestarono contro il governo comunista. Il Comitato Centrale del Partito con un duro comunicato accusò i rivoltosi di tradimento, affermando che non aveva più fiducia nel popolo. Brecht commentò che il Comitato Centrale aveva deciso: “Poiché il popolo è inaffidabile, bisogna nominare un nuovo popolo”.
La frase di Brecht ha illuminato una stagista, che opera presso il Comune, ed ecco la proposta: far scomparire camper e Casa dei diritti. O meglio non la Casa, ma la targa con il nome e l’intitolazione. Proposta accolta ed ora finalmente nessuno potrà più parlare.
Il maggiore partito della città (nuova segreteria e nuovi dirigenti), dopo avere censurato le spese della ristrutturazione, dibatte da alcuni giorni sulla possibilità di affrontare con questo metodo anche altri problemi cittadini.