La cultura come l’Araba Fenice. Tutti la invocano e nessuno sa dove trovarla e cosa sia
E’ un problema culturale! Dicono tutti. Soprattutto se si parla di bullismo o violenza di genere. Ma le uniche cose che si chiedono sono gli interventi dall’alto, quelli della legge, le azioni repressive. Non si ha fiducia in altro. Non hanno fiducia nella cultura neppure coloro che “maneggiano” la cultura.
Gli unici che sembrano più convinti quando affermano che la repressione non è sufficiente sono le Forze dell’ordine. Forse è spiegabile: praticano l’applicazione della legge, reprimono… ma sanno, mentre agiscono e individuano i responsabili, che il problema rimane. Si accorgono che hanno solo tamponato una situazione. Una decina di anni fa ho ascoltato nella sala consiliare di Manfredonia un prefetto (pare di Torino) che disse: “E’ la gente che protegge la gente”. La città è luogo delle relazioni, dello scambio: “Parla, così io possa vederti, ascoltarti, risponderti”. Solo ascoltando, parlando con gli altri è possibile migliorare la vita quotidiana e creare una città accogliente e sicura.
Sul bullismo a Manfredonia un anno fa circa sono stati organizzati due convegni, a breve distanza di tempo, da due importanti associazioni, in collaborazione con alcune scuole. Complessivamente una decina di relatori: avvocati, magistrati, polizia, uno psicoterapeuta. Nessun docente, nessun progetto, nessuna idea. “E’ un problema culturale”, dicevano e non aggiungevano altro. Eppure in qualche scuola si tentavano degli esperimenti interessanti, su cui sarebbe stato utile confrontarsi. Sulla violenza di genere è ancora più marcata questa sfasatura. Le cooperative cui sono affidati i Centri Antiviolenza presentano come biglietto da visita solo il numero delle denunce presentate.
Nel Consiglio comunale di Bari c’è, in una votazione segreta, un’offesa “sessista”. Un fatto grave e stupido, che ha molta risonanza. Ci sono incontri, solidarietà… Si richiede un incontro a porte chiuse… Si arriva poi alla denuncia in Procura e alla volontà di “scoprire il colpevole e cacciarlo“. Una ricerca che richiede prove e la grafologia diviene la nuova “bocca della verità”. I Carabinieri “in borghese” vanno casa per casa per chiedere ai consiglieri di sottoporsi all’esame grafologico. Non tutti sono d’accordo, forse perché si vuole essere creduti sulla parola o si diffida dello strumento individuato. La grafologia: il primo a farne un uso “politico” è stato il sindaco di Milano Gabriele Albertini (1997), che, dovendo scegliere gli assessori, oltre al curriculum richiedeva l’esame grafologico. Ho insegnato nella scuola superiore di grafologia “Moretti” di Foggia (storia della scrittura ed epistemologia delle scienze umane) e so che la grafologia è uno strumento “umile” che si affianca alla psicologia, esprime orientamenti, offre indizi ed elementi da interpretare. Non è la bocca della verità. Si è detto che la scrittura incriminata è “femminile”, non maschile. Chissà se c’è pure una scrittura gay! In tutta la vicenda barese scomparsa è la discrezione. La parola “sessista” è indicata in tutte le fonti con la lettera iniziale, tanto per un esercizio di curiosità di massa.
Molti anni fa nei pressi del Liceo scientifico di Manfredonia, su un muro di cemento lungo una ventina di metri apparve una scritta: “La preside è una mignotta”. Oggi sarebbe una scritta “sessista”. L’interessata alzava le spalle, se ne infischiava completamente. Si divertiva a sottolineare il significato romanesco di “fijo de mignotta”: mater ignota. La volgarità e la stupidità sono più pericolose della cattiveria, diceva quella Preside, e vanno rese inoffensive ignorandole e con un percorso culturale di ascolto e di confronto, di rispetto delle differenze e delle sensibilità personali, che sposti la cultura di una comunità un metro più in là.