La nuvoletta e i fantasmi di Palazzo S. Domenico. Calandrino e il paese di Bengodi.

CULTURA

Ho creduto davvero che la nuvoletta che esce dalla bocca di Salvini, nel grande manifesto a Manfredonia, fosse originale. E che i “provocatori” avessero solo cancellato orario e luogo del comizio. Una capacità autoironica apprezzabile, che mi sorprendeva e che trovavo benefica di questi tempi. La ritenevo strana certamente, ma il segretario della Lega non è nuovo a trovate ad effetto. In tarda serata di lunedì una telefonata mi disillude; sono stati i “provocatori” a imbrattare il manifesto e a scrivere la nuvoletta. Che imbecilli! Si potevano fermare solo all’invenzione della nuvoletta, a quei due versi. Sarebbe stata una cosa eccezionale, imprevedibile. Forse anche Salvini avrebbe riso. Chissà!

Molti ci avrebbero creduto e sarebbe stato divertente. In una città senza ironia e senza riso dove tutto è fermo e l’unica cosa che si muove è il corteo storico di Re Manfredi. I costumi in stile default, con una grave assenza: sul braccio di Re Manfredi (Sindaco) è mancato se non un falcone vero, qualcosa di simile…

Non so se i cittadini di Manfredonia sanno che circolano strane dicerie intorno a Palazzo S. Domenico e che in alcune notti particolari vi sono voci, lamenti… Qualche anno fa arrivò una troupe numerosa e attrezzata con fili, sensori, registratori sofisticati… Nelle notti seguite alle sedute convulse sul “piano di rientro del bilancio”, si sono affacciate ombre, fantasmi che gridavano, piangevano, invocavano. E sono fuoriuscite dai balconi che danno su Piazza del Popolo molte nuvolette che giravano, salivano, si disperdevano: “Vien la plebe tutta ostile / sopravanza serra file”. “E le nacchere e i tamburi /ipotecan i futuri”. “C’è il sindaco indifeso / teme d’esser vilipeso”.”Tutti i giovan vanno via / meno quel dell’agenzia”.

C’è un clima depresso in città, cupo… non ci sono aspirazioni, cambiamenti possibili, “protagonisti” che esprimano desideri, prendano la parola per dire, protestare, provocare. Voci irriverenti che siano espressione di virtù democratiche e capaci di usare un repertorio di strumenti linguistici: metafore, ironia, autoironia e uno spirito “carnevalesco”. Come i tanti cortei variopinti, quelli delle proteste dei disoccupati, quelli per la pace, anche alcuni gesti e simboli della rivolta contro l’Anic…

Nulla. Tutto è grigio nella città del golfo e del sole. Le aspirazioni, i desideri si possono esprimere costruendo racconti fuori del tempo e fuori del luogo, esplorando con immaginazione altri tempi e altri luoghi. Come i reclusi che cercano di affrontare la reclusione con un briciolo di umorismo. Si immaginano fuori, parlano di donne, l’importante è parlare… fanno scherzi da carcere, li chiamano pedagogici, per abituare i nuovi venuti a sopravvivere alle tante assenze. Nel Medioevo si inventano il paese di Bengodi. A Calandrino si fa credere che esiste un luogo nel quale “si legano le vigne con le salsicce, c’è una montagna tutta di formaggio parmigiano grattugiato, sopra la quale stanno genti che niente altro fanno che maccheroni e raviuoli e cuocerli in brodo di capponi, e poi li gittano giù… e nei pressi corre un fiumicel di vernaccia” (Boccaccio). E Calandrino crede sempre a tutto, e tutto sommato vive bene, anche se paga sempre un prezzo per la sua credulità.

Ci vuole immaginazione e anticipazione: il buon giocatore è colui che si piazza non dove si trova la palla, ma dove cadrà, l’avvenire è qualcosa che c’è già nella configurazione del gioco. Il Sindaco doveva affrontare la voragine del bilancio (si sapeva tutto dal 2014 e anche prima), rinvia e parla del “mega progetto con il Politecnico di Torino che doveva rilanciare non solo il territorio ma l’intera Provincia”. Una bugia? No. Era affetto per la città. Darci altri due anni di spensieratezza. O la prefigurazione della nomina all’ASI?

 

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