La formazione dei politici? Diventiamo tutti boy scouts.

CULTURA

L’editoriale di un noto quotidiano intitolava qualche giorno fa: “E’ un disastro politico la mancanza della formazione politica”. Qualcosa deve pur significare se Matteo Renzi citava fino a qualche mese fa la sua formazione da boy scout.Un tempo avrebbe fatto sorridere. Ora invece anche altri ricorrono a questa immagine.

La formazione politica. Berlusconi ci ha provato con i club (ma troppo forte era il modello aziendalista). Vendola in Puglia ha creato la fabbrica delle idee e quel lavoro ha sicuramente avuto importanza nel primo quinquennio del suo governo regionale, soprattutto per le politiche culturali e giovanili. Emiliano si è inventato le sagre e anche queste pare abbiano avuto una forza iniziale aggregante importante. L’esperienza di Minervini è stata significativa: un laboratorio socio politico per tessere una maglia di relazioni, confronto di idee e buone pratiche. Renzi e le Leopoldine: sono state positive, poi si sono affievolite, e nel Sud non sono arrivate. Enrico Letta, in una trasmissione televisiva, ha detto che la prima cosa che raccomanda ai suoi studenti è quella di studiare e di trovarsi un lavoro; prima di impegnarsi in politica. Dal Nord al Sud ci si deve preoccupare del futuro degli amministratori!

Emergono leader politici che non hanno mai fatto esperienza di lavoro e talvolta nemmeno di scuola. E’ legittimo chiedere le motivazioni che portano a impegnarsi in politica e quali siano le competenze e le conoscenze. Fino ad alcuni anni fa c’era chi abbozzava qualche nota biografica, diceva quali erano gli interessi, i libri letti, i film amati…  Piccole cose, però un segno di rispetto per gli elettori!

La formazione è avere una cassa degli attrezzi per una politica che non è solo apparato e segreteria. Più che scuola di formazione servono luoghi di confronto per far crescere l’idea che la politica è fare comunità, voglia di attraversare le sfide del futuro, conoscere il territorio come spazio vitale e dinamico. Luoghi, anche informali, che trasmettano il senso della cooperazione, l’utilità della discussione, la voglia di conoscere e di studiare. Luoghi che pongano dei limiti a quel “traffico di influenza” di alcuni gruppi (minoritari ma potenti) che hanno un senso molto elastico della legalità, della giustizia e delle regole.

Prima delle primarie, nell’autunno del 2014 a Manfredonia, proposi quattro forum su alcuni temi: partecipazione – cittadinanza – povertà – cultura. Un esame dei cinque anni di amministrazione Riccardi: seminari, confronti con altre realtà di governo locale, amministratori ed esperti. Non c’è stato alcun interesse. Ma forse più che di scuola politica, c’è bisogno di scuola pubblica. Solo la scuola può educare all’uguaglianza, a lavorare insieme, a rispettare gli altri, a conoscere i propri limiti.

E’un problema antico. Un mio amico, studioso di lettere classiche, ha sottolineato come la formazione delle classi dirigenti della cosa pubblica fosse fondamentale in Grecia e a Roma. Cicerone ne parla diffusamente. Se ne parla dall’Unificazione dell’Italia in poi. Uno degli studiosi che più si è cimentato è Pasquale Villari. Nelle “Lettere meridionali” (1878), scrive:“Avete voi mai conosciuto un Paese dove la calunnia sia così potente e così avida, dove in così breve tempo si sia lacerato un ugual numero di reputazioni onorate? Si grida per tutto che ci vogliono uomini nuovi, perché gli uomini vecchi sono già consumati; ma non appena si vedono i segni di un qualche vero ingegno che sorge, un mal volere, direi quasi, un odio infinito, s’accumula contro di lui e lo circonda. La mediocrità è una potenza livellatrice, vorrebbe ridurre tutti gli uomini alla sua misura, odia il genio che non comprende, detesta l’ingegno che distrugge l’armonia della sua ambita uguaglianza”.

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