Lager. Un sogno ricorrente: mangiare e raccontare. Ma si componeva anche musica.

CULTURA

Sono molti coloro che hanno avuto difficoltà a raccontare: il timore di non essere creduti, la vergogna di dire quello che avevano subito, non trovare le parole. Elisa Springer racconta la sua storia dopo 50 anni. “Ho rivisto i reticolati, le torrette, quel che resta dei forni crematori e le baracche, dove ci raccoglievamo tremanti. Ho risentito nel silenzio assoluto di oggi le voci e le invocazioni di ieri. L’immagine di quei luoghi e il dolore che ne derivò sono impressi in maniera indelebile nei miei occhi”. Nata a Vienna nel 1918, dopo la guerra viene in Italia, si sposa e va a vivere a Manduria (Taranto). Nessuno sa di lei, nessuno vede il numero della marchiatura di Auschwitz, ben nascosto sotto un cerotto. E’ stato il figlio a incoraggiarla a scrivere. Ed è nato il libro “Il silenzio dei vivi”, che Elisa nel 1998 (a 80 anni) presenta a Manfredonia e Monte S. Angelo.

Primo Levi dice che nei lager tra tutti gli internati vi era un sogno ricorrente: tornare a casa, mangiare e raccontare, con l’angoscia che nessuno ascoltava; “quanto avevamo visto e vissuto era indicibile”. Ma raccontare era necessario come mangiare.

Elie Wiesel, uno dei grandi scrittori della Schoah, sopravvissuto ad Auschwitz e Buchenwald, premio Nobel per la pace nel 1986, scrive: “Raccontare, testimoniare: ecco il mio scopo. La mia ossessione. Dire l’indicibile, comunicare con la parola ciò che sfida la parola. Mantenere vivo il ricordo di un mondo scomparso nella cenere. Conferire un senso umano a un evento che per la sua dimensione di crudeltà si situa oltre l’umano. Offrire ai nostri figli la possibilità, se non la necessità, di non rinunciare alla speranza. Compito impossibile? Lo so. Eppure… E’ nostro dovere combattere l’angoscia, così come è nostro dovere costruire sulle rovine”.

C’è il rischio della ritualità nella giornata della memoria e di percorrere il cammino più facile: far vedere solo l’orrore dei lager. Negli ultimi anni sono stati girati molti film che hanno scavato nel silenzio e nelle complicità. Primo Levi afferma che nella Germania di Hitler era diffuso un galateo particolare: chi sapeva non parlava, chi non sapeva non faceva domande, a chi faceva domande non si rispondeva. Il silenzio è continuato anche nel dopoguerra. In Germania ci sono voluti decenni per scoperchiare molti veli.

Si è sentita, senza togliere nulla all’unicità della Schoah, l’esigenza di allargare la giornata della memoria a tutte le pulizie etniche, alle stragi sistematiche, ai genocidi… di mostrare i rischi dell’indifferenza, di vigilare sui segni di intolleranza, di ricordare che la eliminazione di ebrei e di coloro che erano ritenuti inferiori è stata preceduta da un’opera sistematica di squalificazione delle persone, di perdita della dignità, di creazione intorno a un popolo o a fasce della popolazione di un alone di sospetto, odio, indifferenza, imperfezione da sradicare.

Una maniera originale e straordinaria per ricordare i campi di sterminio è quella del Maestro Francesco Lotoro di Barletta, che ha condotto per anni una appassionata ricerca sulla musica composta nei lager. Ha raccolto oltre 4.000 partiture musicali (cabaret, canti di lotta, religiosi…). C’è anche una sinfonia, un Oratorio laico, ispirato al Manifesto del partito comunista di Marx. Musica scritta su sacchi di iuta, carta igienica, pezzi di stoffa…

L’insegnamento di questa operazione culturale è straordinario: anche nelle condizioni estreme l’uomo è creatore di bellezza. Francesco Lotoro conosce bene la storia e l’importanza della comunità ebraica di Siponto e sempre si è adoperato perché Manfredonia partecipasse alla programmazione della settimana di cultura ebraica.

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