L’Europa: “Fino alla vittoria!” La pace di Trump? Si finge di ignorarla. E i morti?
Un tempo c’erano le carte geografiche, quelle “fisiche”, immutabili. Quanto erano rassicuranti le Alpi a difendere l’Italia! E quelle “politiche”, dopo il congresso di Vienna, il Risorgimento, la prima guerra mondiale…
Osservo spesso il mappamondo. Scorgo dove si trova la Groenlandia (non sapevo fosse di proprietà danese), quanto è vicina Taiwan alla Cina, quanto Cuba agli Usa, e quanta ragione avevano gli americani per bloccare le installazioni missilistiche sovietiche nella crisi del 1963. Allora il presidente Kennedy disse: “Le potenze nucleari devono evitare un confronto che dia all’avversario la scelta fra ritirarsi umiliata o usare le armi nucleari. Sarebbe il fallimento della nostra politica e la morte collettiva”. Parole citate qualche mese fa al Parlamento europeo nel documento di un gruppo che si oppone all’invio di armi a Kiev. Osservo anche quanto estesi siano i confini di Stati della Nato che circondano la Russia. Le aree di protezione, le zone cuscinetto sono state sempre il rovello della diplomazia. Oggi si sentono autorevoli commentatori ridicolizzarle e parlarne come forme nuove di feudalesimo, vassallaggio… o addirittura rimpiangono che Kiev abbia consegnato le atomiche presenti nel territorio ucraino alla Federazione russa.
L’Europa è stata sempre convinta che il mercato e la moneta unica avrebbero rese improbabili le guerre. Si sottolinea che non abbia fatto nulla per evitare il conflitto ucraino, che pure si combatteva da una decina d’anni. In questi tre anni, nonostante si dicesse (Mark Milley, capo di Stato maggiore americano) che la guerra non sarebbe stata vinta da nessuno, dall’Europa sempre le stesse parole: sostegno all’Ucraina fino alla vittoria. In tre anni mai una proposta, un’idea, una parola per trovare una via d’uscita… negoziato, pace… parole bandite, rifiutate. E ora che sta “scoppiando” la pace, si assiste al caos, alla paura di non contare, non esserci al tavolo, a reagire in modo scomposto e pericoloso.
Il riferimento alla storia è una costante. In questi mesi, frequente il confronto con il periodo tra le due guerre, si ricorda in particolare l’accordo di Monaco del settembre 1938 e le politiche di “appeasement” di Francia e Gran Bretagna verso la Germania nazista con la concessione di occupare i Sudeti, abitati in prevalenza da tedeschi. Si ironizza su Chamberlain che torna a Londra accolto in festa per aver evitato il conflitto. Si critica quell’accordo che sacrificava principi di giustizia e legittimità. “Una strategia di fermezza avrebbe con alta probabilità evitato la guerra“. Parigi e Londra forse non si sentivano sufficientemente forti, sicuri, e i rispettivi popoli non volevano la guerra. Hitler dopo pochi mesi occupò Praga e dopo un anno spazzava via ogni resistenza in Europa. Occorreva pensarci prima. Nel trattato di Pace di Versailles. Maynard J. Keynes partecipò alle trattative come economista, nel 1919 inviò la lettera di dimissioni a Lloyd George, era fortemente contrariato dalle scelte folli sulle riparazioni da imporre alla Germania, che avrebbero portato a un nuovo devastante conflitto. E’ stata quella pace, l’umiliazione della Germania a costruire un risentimento profondo, una instabilità e sofferenza sociale inenarrabile che ha permesso a Hitler di salire al potere.
Il riferimento all’accordo di Monaco vuole dire che oggi occorre misurarsi in modo più determinato con Putin? Forse non ci si rende conto che l’Europa è debole, la sua superiorità eurocentrica poggia sulla sabbia, e che da tempo non “semina il futuro dell’umanità”
Il presidente Mattarella ha parlato recentemente della Conferenza di Helsinki (agosto 1975) sulla distensione e cooperazione in Europa, e ha citato Aldo Moro, che nel suo intervento esaltò “gli ideali di libertà e giustizia, i diritti umani, la conoscenza reciproca, una più vasta circolazione delle idee e delle informazioni”. Non dice Il Presidente della Repubblica che da quella conferenza Moro uscì umiliato. Si incontrò con il presidente americano Ford e il segretario di Stato Kissinger, parlò della situazione italiana. Sostenne il cambiamento del Partito comunista, la sua evoluzione in senso democratico, la necessità di una partecipazione “minima” al governo. La risposta fu totalmente negativa e in termini personali e politici minacciosi. Altri partner europei furono ancora più drastici ed evocarono prospettive inquietanti, nonostante Berlinguer avesse dichiarato di sostenere la Nato.
Il 13 Settembre ’75 a Bari, alla Fiera del Levante, Moro evocò con preoccupazione veti e vincoli internazionali. Parlò di forze che pensavano a qualcosa di “inattuale e pericoloso”. C’era Gladio e c’erano 130 depositi di armi nascosti in tutta l’Italia, i servizi segreti deviati, sempre un rumore di golpe, il terrorismo, gli scandali (tangenti petrolifere, Lockheed…). Moro conosceva bene la fragilità della democrazia italiana. C’erano i blocchi. Berlinguer e Moro aspettarono. Si logorarono nell’attesa ma aspettarono… In Ucraina tutto è complicato. Ci sono centinaia di migliaia di soldati morti dall’una e dall’altra parte, e la guerra non può essere infinita. Una stranezza: due autocrati “scelgono” la pace, le democrazie liberali premono per la guerra.