Il Risorgimento: una rivoluzione mancata. L’Unità d’Italia una bella grande impresa.
Il film di Andò (L’abbaglio) racconta l’inizio dell’impresa. Giovani, fiduciosi, esaltati, alcuni poco più che ragazzi, partono dietro Garibaldi. Cantano prima di imbarcarsi “Va pensiero…”
Ci sono anche due piccoli avventurieri siciliani (Tricò e Spitale) che ne approfittano per tornare a casa. Sbarcati, alle prime cannonate si rifugiano in una grotta e diventano disertori. Dopo piccole amare vicende finiscono in un convento di monache, costretti a scappare, sono catturati dalle camicie rosse. Non vengono fucilati perché anche i vigliacchi servono. Garibaldi dopo le prime scaramucce si trova davanti a un bivio: deve entrare a Palermo. Ma non può farcela, se le forze nemiche bloccano le vie d’accesso. Ordina al colonnello Orsini di “distrarle”, di muoversi, con una parte dell’esercito (quella più sgangherata), i feriti, naturalmente i due avventurieri, verso l’interno, Corleone, Sambuca…
Accendono fuochi sulle alture… fingono di essere i Mille, i Borbonici abboccano. Orsini con sdegno rifiuta l’aiuto della mafia. I poveri li sostengono, mettono a disposizione le poche cose che hanno, subiscono la reazione borbonica, mentre Garibaldi entra a Palermo. E’ l’inizio del Risorgimento. I Mazzini, Cavour, Vittorio Emanuele non sono nemmeno nominati. Si sente questa spinta ideale, ragazzi e giovani un po’ folli, che combattono e muoiono… Dall’altra parte un comandante borbonico che parla francese e soldati vendicativi…
Il colonnello Orsini è siciliano, di fede liberale, andato via dopo il ’48, in esilio, torna per l’impresa. Non ha illusioni, ma vorrebbe che quel popolo che li aiuta, apre le case, medica i feriti… ottenga subito il “sollievo” della rivoluzione. Veda subito i vantaggi, le occasioni di riscatto, di speranza. Ma forse, come sempre, il “risarcimento” sarà rinviato. Sono riflessioni dolenti quelle di Orsini. Simili a quelle riportate da un giovane garibaldino, Giuseppe Cesare Abba, nel libro “Noterelle di uno dei Mille”. Racconta dell’incontro con un frate, esalta la libertà, l’istruzione, cerca di convincerlo a passare dalla loro parte; per il frate c’è un’enfasi eccessiva in quelle parole. “Libertà non è pane, libertà non è lavoro. Date la terra ai contadini ed allora io verrò con la croce davanti a voi, a sostenervi, a lottare insieme”.
I timori del colonnello Orsini si avverano. Tanti patrioti morti invano. I giovani traditi. Si afferma la solita italietta. Quella del “tutto deve cambiare perché tutto resti come prima“. Negli anni successivi i Processi di Palermo, le “Lettere meridionali” di Pasquale Villari. Quanti “abbagli” nel film, compreso quello del sogno di un’Italia onesta e civile finito in una bisca clandestina. Ma l’Unità d’Italia c’è e con essa la possibilità di pensare il Sud in una storia più ampia, nazionale, europea.
Si può raccontare il Risorgimento come conquista del Sud. Si può parlare delle nuove tasse, del lungo servizio militare obbligatorio… Si può dire che il Regno di Napoli aveva un Pil come quello di altre regioni del Nord, opifici all’avanguardia, la prima ferrovia della penisola… Lo dicono gli intellettuali neo borbonici. Non parlano, però, degli immensi feudi senza strade, della malaria, dell’assenza completa della società civile, dell’analfabetismo totale, del lavoro minorile esteso più che altrove.
Ed ecco il Sud. Una marcia finita in tragedia nel Tavoliere. Una compagnia di soldati, partiti da Ancona il 10 giugno 1862, sbarca a Manfredonia due giorni dopo. Il 13 giugno la colonna (doveva essere impegnata contro il brigantaggio), di buon mattino parte per Foggia. “Una distesa di ca 40 chilometri piana liscia, senz’alberi, priva di ogni qualsiasi vegetazione e di acqua potabile, tranne quà e là qualche pozzo di acqua salmastra; aggiungasi il polverone della strada, il sole della metà di giugno fulminante in quel clima (…) Quella nostra prima marcia sul suolo pugliese segnò un vero disastro. Si era percorso il primo terzo di strada e i soldati a decine cominciavano a cadere a terra privi di respiro e di sensi… Non c’era la possibilità di chiedere aiuto. Si rizzarono quà e là delle tende. Strada facendo tre soldati del mio battaglione, fulminati dall’insolazione morirono all’istante“. Si arrivò a 4 -5 chilometri da Foggia e dietro il comandante vi erano solo gli ufficiali. “La truppa era tutta disseminata pei campi lungo l’ardente e polveroso stradale percorso“. Da Foggia arrivarono gli aiuti. Il racconto è di un giovane ufficiale di quella compagnia, Temistocle Mariotti, (Una pagina di brigantaggio in Capitanata, pubblicato a Roma nel 1914).
I neoborbonici raccontano un’altra storia. Il 13 febbraio 1861 è la resa di Gaeta e la fine del Regno delle due Sicilie. Tale giornata è stata scelta per celebrare le vittime o i martiri a causa dell’Unità d’Italia. Il 28 febbraio 2017 una mozione apposita è presentata alla Camera. Prima firmataria De Girolamo. Firmatari 18 parlamentari foggiani e pugliesi. Il 4 luglio 2017 la Regione Puglia approva la giornata delle vittime dell’Unità d’Italia.