Dibattiti scomparsi. Spettatori, ascoltatori… passivi. Senza parola, dubbi, domande.
Convegni, conferenze… il pubblico è sempre più di spettatori che non prendono la parola. Non chiamiamoli “dibattiti”, che sono contrapposizioni di idee diverse. Nemmeno “conversazioni” o “dialoghi”, cioè incontri di persone che si confrontano.
La giornata della Shoah: affollato lo spazio davanti al campo di prigionia, e gremito l’Auditorium. Una novità e sorpresa per tutti. I relatori prendono più del tempo previsto, l’incontro si chiude velocemente. Al termine molti si avvicinano: “Avrei voluto dire anch’io una piccola cosa“. “Noi abbiamo fatto delle attività a scuola… potevo accennarne“. “Io ricordo a Monte S Angelo nella scuola Amicarelli negli anni sessanta un preside (Perna) … era stato all’acqua verde, come si diceva… organizzava per il 25 aprile un coro di canti…“. “La partecipazione e la voglia di parlare deriva dal fatto che siamo angosciati da quanto accade… Ecco, stasera occorreva non dimenticare Gaza… e poi quel discorso sulle Tremiti lasciato a metà...”.
La memoria è fatta di pietre e di parole, quelle di chi racconta, e quelle scritte, foto… Queste ultime si conservano, le teniamo in un freezer e possiamo scongelarle quando vogliamo. Verba volant, scripta manent. Una massima per dire che la parola orale si perde, scorre via, mentre quella scritta rimane. Omero parla di “parole alate” e suggerisce l’idea della libertà, del movimento… Il racconto orale è bello, caldo, rinvia a una relazione, ma insufficiente.
Alle Tremiti sono state distrutte le pietre, le parole orali, le parole scritte. Leggo sul sito del confino di Ustica una testimonianza di Antonio De Vito, invitato a una visita – convegno nell’isola. Siamo nel 2016 a 90 anni dall’apertura del Confino. Antonio De Vito è stato giornalista nella redazione dell’Unità a Torino e poi alla Stampa. E’ stato invitato perché ha fornito memorie scritte e foto (raccolte dal padre Peppino De Vito), per la mostra che da Ustica è andata in giro in varie città d’Italia. “Una emozione infinita questa due giorni sulla piccola isola. Calpestare le stesse pietre del paese che ben conobbero i confinati (dal 1926 al 1943), passeggiare fra ex dormitori dei disgraziati deportati all’acqua verde… per me è stato un colpo al cuore. Ci arrivò Gramsci nel 1926, ci arrivò Peppino condannato al confino nel 1927 come comunista pericoloso per il regime”. Antonio De Vito ha scritto, nel 2013, un libro sul padre: “Il sovversivo con il farfallino“. Parliamo di una famiglia di Torremaggiore (FG). Peppino e Felice due fratelli artigiani. Entrambi perseguitati e confinati. La memoria corre a Nicola Sacco, l’anarchico condannato alla sedia elettrica nel 1927 insieme a Bartolomeo Vanzetti. Era di Torremaggiore nato nel 1891 ed emigrato in America nel 1908.
Eliana Segre ha detto che, morti i testimoni, nel futuro resteranno poche righe nei manuali di Storia. Non credo. Occorre, però, chiedersi perché ci si è affidati solo ai sopravvissuti? Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti hanno continuato a vivere. Qui a Manfredonia alcuni anni fa nella “giornata per la vita e contro la pena di morte” una scuola media (Mozzillo) ha rappresentato all’Auditorium la loro vicenda. Gli ebrei vissuti nei villaggi (shtetl) dell’Europa orientale, perseguitati e annientati nell’occupazione nazista, vivono nei racconti di narratori straordinari (Alechem, Roth, Singer). Corsi sulla letteratura ebraica sono stati tenuti all’Università della Terza Età. “Il processo di Shamgorod” di Elie Wiesel è stato rappresentato nella chiesa Sacra famiglia nel 1987.
Come ricordare? E’ la domanda fondamentale. Nell’incontro del 27 gennaio il presidente provinciale dell’ Anpi ha citato “Le pietre di inciampo”. Una piastrella, un sanpietrino vicino a una casa. “Monumenti per difetto“, li chiama Adachiara Zevi. Difetto di cosa? Di monumentalità, retorica, ridondanza. Ricostruiscono le piccole storie nella grande storia. E permettono una partecipazione e una memoria diffuse. Piaget diceva che vale più un pezzo di verità pensato e costruito da sé, che la verità bella e impacchettata.
Andare nelle scuole significa ascoltare domande scomode, su Gaza e su altri genocidi. La shoah è male assoluto. Olocausto. Il primato ebraico nella sofferenza non può significare il monopolio della sofferenza, con il rischio di sminuire le sofferenze (minori della shoah) di altre genti, ugualmente spaventose . La storia non è giustiziera né giustificatrice. Ma conoscerla aiuta a porci dubbi e interrogativi, ad andare oltre l’orrore. Per questo è necessario alla fine di una relazione, convegno, celebrazione… chiedere: Chi vuole intervenire? Chi vuole porre delle domande. Saper condividere le domande più che le risposte, è importante.
Levi si uccide nel 1987. Claudio Magris ne ricorda, sul Corriere della sera, la magnanimità, la forza di essere buono e giusto, nonostante le atrocità subite. A riprova racconta l’ultimo contatto avuto. Gli telefona per conoscere il nome di un professore francese che aveva negato l’esistenza delle camere a gas, e gli chiede come mai non l’avesse menzionato ne “I sommersi e i salvati“. “Ah, è uno che ha questa idea fissa a causa della quale ha perso la cattedra, sconquassato la famiglia, e non mi pareva il caso di infierire“. Ecco Levi è stato ad Auschwitz ha resistito a che quell’inferno non alterasse la sua serenità di giudizio, la chiarità dello sguardo.