Berlinguer. Ascesa e declino di una grande ambizione. In due vignette i segni della crisi.

CULTURA

“Porta tanti fazzoletti!”, un suggerimento amichevole. Il film (La grande ambizione) invece è sobrio, racconta i fatti essenziali, lascia i tempi per pensare. Sarebbe piaciuto a Berlinguer.

C’è la famiglia, il dirigente, le relazioni… ma soprattutto la crisi italiana. Un racconto che si snoda dal 1973 al 1978: I fatti cileni, il compromesso storico, il governo delle città, il terribile 1977, l’assassinio di Moro. Le battaglie di quegli anni per allargare i diritti, la cittadinanza, la costruzione di un moderno Stato sociale: nuovo diritto di famiglia, divorzio, consultori, riforma sanitaria, legge Basaglia, Obiezione di coscienza, Organi collegiali a scuola, le prime leggi urbanistiche e sull’ambiente… Non sono solo anni di piombo e di stragi.

Berlinguer prende due parole consuete e non “belle” (compromesso e austerità) e le fa divenire un programma politico. Compromesso storico, un accordo tra le forze di ispirazione comunista, socialista, cattolico – democratica per un programma di rinnovamento, sostenuto da una partecipazione popolare ampia da scoraggiare interventi autoritari e antidemocratici. La morte di Moro (l’interlocutore unico di Berlinguer), contribuisce all’eclissarsi del progetto. La strategia del Compromesso storico, le critiche a Mosca e al partito-guida… rendono Berlinguer non gradito a Est come ad Ovest. Non è inverosimile, pertanto, che l’incidente in Bulgaria (un camion travolge l’auto su cui viaggia Berlinguer) possa essere ritenuto un attentato (3 ottobre 1973).

Della parola “austerità”, frequente in quegli anni e poco amata, Berlinguer ne fa il perno di un nuovo progetto di società, una “occasione per trasformare l’Italia“; ne discute nelle assemblee con intellettuali e operai (gennaio 1977). “Vogliamo una cosa che non si è mai fatta prima… un progetto di trasformazione discusso tra la gente e con la gente… percorrere vie ancora inesplorate”. Un intervento osteggiato più del compromesso storico. Oggi è ritenuto un originale manifesto ecologico –politico, qualcosa di unico, nel senso che da allora non c’è stato niente di altrettanto coraggioso nella sinistra italiana.

Nelle elezioni del 1976, il Pci vince e la Dc pure. Insieme, il 73% con i votanti oltre il 93%. E’ il bipartitismo imperfetto. Che si fa? Si inventano il governo delle astensioni. Ma c’è un altro dato. L’estrema sinistra riunita nel cartello Democrazia proletaria (Pdup, Mls, Ao, Lotta Continua, Manifesto…) viene cancellata (sperava nel 7 – 8%). E si apre un baratro. Il segnale sono i raduni giovanili a Parco Lambro e poi a Ravenna nell’agosto e settembre 1976. Centinaia di migliaia di giovani carichi di rabbia e disperazione.

Il 1977 è un anno terribile. Il 17 febbraio c’è la cacciata di Luciano Lama
dall’Università di Roma. I cortei ingestibili, la P 38 esibita, le molotov… Gli espropri proletari sono centinaia con lo slogan “Su, su, su, i prezzi vanno su / prendiamoci la roba e non paghiamo più“. Berlinguer (e il PCI) non comprendono quel vuoto, quella sofferenza… Il governo di solidarietà nazionale non dà prospettive. Il PCI all’opposizione era criticato, rifiutato… ma c’era. Dopo il 1977 (i raduni di Bologna, i convegni sulla repressione, gli attentati dei neri e dei rossi…) le speranze si restringono. L’orizzonte è tragico. Distruzione e autodistruzione: sparare al nemico, farsi una dose di eroina, suicidio. Tutti orfani di una rivoluzione che non c’è stata. Poi nel 1978 la morte di Moro. Berlinguer è in un vicolo cieco. Due vignette lo raccontano.

Vincino (Lotta Continua, 10 giugno 1977). Berlinguer in primo piano, sullo sfondo uno stadio di atletica. Canottiera e pantaloncini, con la mano sinistra regge per le stringhe le scarpette, gli occhi bassi, assorto… Alle spalle il podio, altri vincitori e sostenitori festeggianti. La scritta: l’importante è non vincere.
Forattini (La Repubblica, 4 Dicembre 1977) Berlinguer in pantofole, beve il the, disturbato dalle grida che vengono dalla piazza (la manifestazione imponente dei metalmeccanici a Roma del 2 dicembre). Una critica alla politica attendista…. La vignetta suscita proteste nei comunisti. E Berlinguer accelera la crisi di governo.

Berlinguer lancia nel 1981 la “questione morale“. “I partiti non fanno più politica, hanno occupato lo Stato e le istituzioni… è questa l’origine dei malanni d’Italia”. Piovono altre critiche, anche per l’esaltazione inopportuna della diversità comunista, che in effetti non esiste più.

C’è però nel 1982 – 1983 un ultimo Berlinguer, quello che riapre il dialogo con la socialdemocrazia, incontra più volte Willy Brandt. “La carta per pace e lo sviluppo” prende forma nel 1979, in una fase che vede la crisi della distensione, la corsa al riarmo, il crescente impoverimento dei paesi sottosviluppati. C’è un’intervista del dicembre 1983 sulla profezia di Orwell nel libro “1984”. Berlinguer parla delle nuove sfide: il fanatismo, i nazionalismi…. riprende la proposta fatta ai giovani comunisti di “convegni di futurologia“, cioè incontri per studiare i mutamenti sociali, demografici, tecnologici… “E’ necessario investire in tempi lunghi. Un’utopia sui tempi lunghi!”. Per lui Orwell sbagliava. Intellettuali e politici alimentano paure sui cambiamenti e non vedono nel futuro nuove opportunità e nuove forme di arricchimento delle coscienze.


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