Il “buoni maestri”. Come riconoscerli? Devono essere anche un po’ “cattivi maestri”.
Un terremoto. una scossa lieve. I bambini si stringono, guardano l’insegnante, corrono verso la cattedra. La storia del terremoto l’ho letta da qualche parte parte e rende bene l’idea.
Fuori le scosse di un mondo in cui c’è violenza, cinismo, competizione, caos, e “dentro” bambini e adolescenti che hanno delle motivazioni semplici per stare lì: ritrovarsi tra coetanei, insieme per ascoltare – seguire un maestro, scoprire l’amicizia e avere uno spazio per sé. Una piccola comunità: prima non si conoscevano, si distaccano dal mondo familiare, si riuniscono intorno a una persona che conosce il mondo e si prende la responsabilità di quella comunità, si prende cura di quegli esseri umani “affidati”.
Siamo circondati da paure (pandemia, guerre, crisi climatica, Intelligenza Artificiale…), dalle “ragioni infernali” dei conflitti, piani di vittoria, muri, riarmi. Ed ancora da disuguaglianze e ingiustizie mai viste. Il disagio di cui si parla tanto tra alunni, docenti, genitori, credo che derivi dall’inadeguatezza (o impossibilità) a trovare risposte di fronte a un futuro che ci è ignoto. Fino a qualche tempo fa si usavano espressioni quali “costruire la pace”, “cercare percorsi di integrazione o convivenza”. Ora si dice: “immaginare la pace“. Non sappiamo più di cosa parliamo.
l buon maestro deve ascoltare i segni del disagio esistenziale, le confidenze, le ansie? O il suo compito è fornire conoscenze? Il professore psicologo che ascolta la vita senza saperi o la scuola “cognitivista” che esalta il sapere senza la vita (la sintesi è di Recalcati). Un buon insegnante è colui che sa aprire nuovi mondi, allarga l’orizzonte, spinge la vita altrove, a perlustrare altre possibilità. Deve andare controcorrente come Socrate (è stato un “cattivo maestro” perché poneva domande scomode).
Circolano in questi giorni un paio di film interessanti. “Il maestro che promise il mare”: ci mostra la passione per l’insegnamento di Antoni Benaiges (i docenti che ne sono privi producono danni, senza rendersene conto), facendoci leggere sui volti degli allievi, anche dei più restii, la gioia per ogni scoperta. E poi Vermiglio. Un paese di montagna delle valli trentine, poverissimo, mentre c’è la guerra, e un maestro, che insegna a bambini e adulti, e cerca, con i pochi mezzi culturali che ha, di “coltivare l’anima”: scrive alla lavagna una parola e aspetta le risposte, sulla guerra, la morte, i parti, i disertori, le delusioni, le rinascite…
A New York, come a Liverpool, a Calcutta… è stato analizzato il metodo di insegnanti, che, in classi difficili e in quartieri degradati, raggiungono risultati molto positivi. Come? Si mettono nei punti strategici della classe, da dove riescono a osservare meglio i volti degli alunni. Fanno domande su un film, un libro, una storia… Tutti sono invitati ad intervenire ed alzare la mano, un tempo di attesa per pensare e aspettare chi è più lento. La maestra si sposta, si avvicina a chi parla, fa sentire la sua premura. Tagore poneva continuamente domande ai suoi studenti. Poi scambiava i ruoli “inducendo i bambini a estraniarsi dal proprio punto di vista e ad assumere quello di un altro”. Non si può parlare di guerra a scuola? Ma possono essere gli alunni a confrontarsi tra due tesi. Don Milani invitava figure esterne di orientamento diverso La scuola americana educa in questo modo alla argomentazione. La scuola latina conosceva le “Controversiae” e le “Suasoriae”. Scontri di contrapposizione e persuasione.
E’ possibile rendere le aule i luoghi dove si impara insieme. Dove ci si prende insieme cura del futuro. Non farlo è il “reato educativo più grave” verso le nuove generazioni. Il buon maestro sa usare un sano e intelligente pragmatismo, integrando forme diverse: a volte lezione frontale, a volte attività di gruppo, altre di verifica. Mescolare insieme mezzi tradizionali e nuovi: dipingere, leggere i giornali, fare video e teatro, imparare a recitare poesie, osservare le stelle, creare opere multimediali. E poi dare centralità al corpo, all’esplorazione della città… Per questo è importante che tutti prendano parte attiva alla vita della classe e alla discussione, avvertano un ambiente favorevole ad imparare e scoprire nuove cose.
I buoni maestri devono curare le relazioni, le buone maniere, la grazia e la gentilezza. La classe è l’unico luogo accogliente per ragazzi che non hanno stimoli altrove, spesso soffocati da pretese eccessive dei genitori. E’ uno spazio dove possono parlare delle loro paure, esprimere sentimenti ed emozioni, imparare a riconoscere e rispettare le diversità. Le scuole sono tra i pochi luoghi pubblici rimasti che funzionano come comunità, dove ragazzi che provengono da ambienti diversi si incontrano su un terreno comune. L’impegno è far sentire tutti accettati e apprezzati. La sfida è che tutti alzino la mano per intervenire e nessuno si senta ignorato o avverta intorno il silenzio e l’assenza di sguardi.