Invecchiare nel Sud e nell’era Internet. La rivoluzione (un po’ triste) delle vecchie signore.

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Finita l’estate, si vede a Manfredonia (città distesa sul Golfo e dal clima mite) come i vecchi siano i padroni della città. Essi soli si recano a passeggio, a fare la spesa (alcuni si muovono pure a fatica, ma escono). Altrove, nel Nord, il freddo, la pioggia li chiude già in casa.

“Ti mantieni bene!”. “A volte dimentico i nomi”. “Capita a tutti, mica vuol dire essere demente”. Io invece faccio fatica… a fare le scale. 76 anni e mi dicono che sono ancora giovane!”. L’età giusta per essere vecchi e anche per morire non esiste più. Ci si avvicina agli ottanta anni, un’età avanzata fino a pochi anni fa, ma i vecchi sono quelli di 5, 10 anni più in là.

In ospedale, però, le cose si mettono a posto. Superati gli 80 anni, complicanze, scarsa reazione ai farmaci… “Che volete? E’ l’età!”. I medici sono tranquilli, la malasanità dopo gli ottanta non esiste. Si fanno discorsi tortuosi sulla longevità, cioè il vivere bene e a lungo. Una condizione da proteggere e che costituisce un vanto per i paesi occidentali. Diviene, invece, un’anomalia, affiancata alla denatalità. Non si favoriscono le nascite, non si protegge l’infanzia, (migliaia i ragazzi stranieri senza cittadinanza),.. Terrorizzati dall’aumento delle persone non autosufficienti, qualche stratega demografico pensa che occorrerà porre un freno a un prolungato invecchiamento. Si sta prefigurando il futuro, con due o forse tre Italie. Il Centro e il Nord resistono. Il calo netto nel Sud è già evidente: diminuisce la popolazione e aumentano gli anziani.

I vecchi, però, stanno bene. E’ un punto d’onore apparire in ottima forma, pieni di energia, interessati alle novità, e si nascondono molte cose: il tempo passato dai medici, i controlli, i funerali. Che fastidio i manifesti funebri, “altrove si usa il web!”. Non si dice l’ansia di azioni che prima si affrontavano con un certo entusiasmo: prendere l’aereo o il treno, le coincidenze, guidare l’auto con il navigatore, mentre la segnaletica è sempre più approssimativa e prima o poi scomparirà. Incontrare gli altri e stare attenti all’impressione che si dà. Si riconoscono nei figli (possono avere 40 anni), scelte azzardate ed errori, ci si astiene dal parlare, si temono parole e sguardi. Poi l’uso dei mezzi informatici. C’è sempre un intoppo. E i nipoti non ci sono. Non sono solo i giovani che vanno via, partono anche i genitori che vanno a trovarli al Nord e ci restano sempre più a lungo.

Mai la vecchiaia è apparsa così piena di opportunità. Che spasso la pubblicità! Ci sono prodotti che mostrano l’età: poltrone a rotelle, ausili vari, pannoloni, rimedi prostata. intestino pigro. Ma i vecchi sono atletici, belli, eterni fidanzati, saltellanti. Diete, palestre, scuole di ballo… integratori, vita sempre attiva e di corsa… Una forma di accanimento preventivo – terapeutico.

Un mondo a rovescio, i giovani preoccupati, problematici, ingrigiti e i vecchi sempre felici. In televisione non fanno mai i nonni. I sindacati dicevano che lo Stato risparmiava 50 miliardi di euro. Una visione economicistica arida. Le relazioni, gli affetti non contano. Dall’edicolante incontro un amico vecchio: “leggo i giornali… e anche qualche libro adatto al mio livello… faccio il nonno a tempo pieno… parlo e racconto

Si affaccia una piccola strana rivoluzione delle signore anziane. Prima marginali rispetto agli uomini, e considerate se erano utili alla famiglia, per la cura dei nipoti, la cucina. Oggi le artiste vecchie sono riscoperte, le donne anziane sono corteggiate, sono le vere “consumatrici”. Non hanno paura dei capelli bianchi (portati cortissimi), il mezzo tacco (scarpe da suora) scompare. Scarpe da ginnastica (sneakers), così non si cade. Escono in tuta, ma spendono per abiti raffinati, cure estetiche. Tra loro hanno amicizie più strette di quelle maschili, e quando sono in gruppo, al bar, al cinema sono disinibite. Agli ammiccamenti alle donne di gruppi maschili, si affaccia qualche commento sussurrato e salace delle donne. E’ una forma di parità.

La trasmissione delle esperienze è scomparsa. Non si è più capaci di coniugare esperienze passate e tempo presente. I vecchi sono “felici” ma manca la parola. Perché si vive allora tanti anni senza lavoro e funzione sociale? Come si può vivere una vita decente da vecchi? Si subisce sempre il confronto con quelli che fanno molte cose. Diventa stranezza l’esigenza di stare a casa, rifuggire le novità, la rincorsa ai viaggi all’estero. Preferire un altro modo di spostarsi e viaggiare. Sentire istintivamente il bisogno di concentrare l’attenzione sulla propria vita e sul mondo che è in bilico, informarsi sul tempo presente, discuterne, esprimersi non da vecchi ma da persone. Capire quello che ci sta capitando, con élite vendicative e ciniche che stanno portando il mondo al disastro.

E’ triste vivere nel Sud, dove l’assenza dei giovani diviene un’emergenza democratica, e le comunità perdono ironia e vivacità, sono conservatrici e noiose. “Le scienze non possono farci felici, perché l’uomo è un essere parlante, che ha bisogno di esprimere in parole gioia e dolore, piacere e afflizione” (scrive in questi giorni Giorgio Agamben). Le parole degli incontri informali, quelle dei centri e luoghi che frequentiamo ci aiutano ad alleggerire le paure, i timori delle guerre, ci aiutano a conquistare serenità. Non è la scienza o l’intelligenza artificiale che ci salveranno, ma l’etica, la politica, il dialogo, ed anche la ricchezza delle relazioni “La felicità non potrà essere separata dalle semplici, trite parole che ci scambiamo”.

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