Eppure il dopoguerra arriverà. Il Papa ai confini della terra e l’Europa non sa pensare la pace.
Tutti cominciano con l’idea di una guerra lampo. Dalla guerra di Troia a quella Ucraina e a Gaza. Due “operazioni speciali”, queste ultime, che durano e nessuno sa fermarle.
A Roma si sapeva condurre una guerra – lampo. Chi non ricorda: “veni – vidi – vici” di Cesare? Così annuncia al Senato la vittoria sul re del Ponto. O ancora Cesare che costruisce un ponte sul Reno in meno di 10 giorni? L’opera suscita tale stupore e terrore da spingere i Germani (che compivano incursioni in Gallia) a sottomettersi e chiedere la pace.
Dopo la seconda guerra mondiale, le nuove generazioni hanno creduto alla pace per 3/4 di secolo, hanno celebrato le ricorrenze più tragiche, le due bombe atomiche… Hanno gridato “Mai Più”. Poi la vigilanza critica si è affievolita. E oggi ci mancano di nuovo le parole per descrivere distruzioni e orrori delle nuove guerre.
In questi giorni l’Unione europea è in grande confusione; Borrell, commissario europeo agli Esteri, lancia appelli per portare la guerra entro i confini della Russia. Sottolinea, però, che l’Europa non è in guerra con Mosca. Le nostre armi, da difensive diverranno offensive, e a morire per la nostra libertà saranno solo gli Ucraini. La terza guerra mondiale? A pezzi o per intero? Continuiamo a pensare che gli attori principali (americani e russi) conservino un minimo di responsabilità. Continuiamo a sperare che in Ucraina ci sarà un dopoguerra e in Palestina almeno una tregua. Da oltre due anni sono tabù le parole: pace e negoziato, e i politici si sono trasformati in “soldati”: tute mimetiche, elmetti, giubbotti protettivi… L’identificazione dell’Europa con la Nato (un’alleanza militare!) è stata totale. Ora ciascuno dovrebbe tornare a fare il proprio mestiere. Pensare alla pace fa bene. E’ nei negoziati che le guerre si vincono o si perdono.
Ripensiamo alla guerra fredda (1945 -1989): si è sempre mantenuto un equilibrio e si è evitato che focolai di crisi si espandessero. C’era l’impero del Bene e quello del Male, ma non si pensava alla distruzione del nemico. La pace è stata assicurata, e con essa il disarmo, il controllo delle armi. Si respirava l’arte della diplomazia e del negoziato. Negli anni Sessanta incombeva in Italia il conflitto in Alto Adige (numerosi attentati terroristici), l’Onu minacciava di inviare i caschi blu. Poi il lavoro della diplomazia… infine nel 1969 i due ministri degli Esteri, Moro e Waldheim (austriaco), firmano un compromesso – capolavoro. Una giusta e pacifica convivenza e autonomia politica tra popolazione tedesca e italiana. Una soluzione che è stata proposta per l’Ucraina, prima che scoppiasse la guerra: i russi pare fossero interessati, non Kiev e gli amici occidentali.
Ognuno dovrebbe tornare a fare il proprio mestiere, soprattutto i giornalisti, ormai trasformati in militanti e tifosi. Oggi si ritiene inevitabile una nuova divisione in blocchi, ed esponenti liberali mostrano delusione che globalizzazione e liberalizzazione dei mercati (molti paesi poveri sono divenuti meno poveri), non abbiano provocato una estensione della democrazia occidentale. Si sentono traditi, e il conflitto contro i regimi autocratici è dichiarato e aperto. Eppure si possono tenere aperte vie commerciali e culturali, senza “somigliarsi”. La ricerca di un compromesso e della pace è impossibile se si pensa a una lotta tra il Bene e il Male. Una guerra totale su tutti i fronti. Pensavo che lo Sport e che almeno le Paralimpiadi fossero tenute lontane dalla contesa… E oggi, vedendo i giochi paralimpici di Parigi, si resta ancor più amareggiati per l’esclusione di tante ragazze e ragazzi.
Mentre i vertici UE e Nato discutono di armi e non hanno idee e coraggio per far terminare due conflitti atroci, il Papa si spinge oltre l’Occidente per esplorare le periferie della terra, incontrare popoli segnati da conflitti e sofferenze dimenticate dai potenti e dai grandi media. Prova a uscire fuori dal recinto del Cattolicesimo occidentale.
Si sono accumulati molti troppi libri sui conflitti odierni. Sarebbe utile leggere i classici. Tra questi un piccolo libro di Mario Rigoni Stern, Il sergente nella neve. Il racconto autobiografico (una sorta di diario) della ritirata di Russia. Il sottufficiale entra affamato in un’isba. “Vi sono dei soldati russi, là. Dei prigionieri? No. Sono armati. Con la stella rossa sul berretto! Io ho in mano il fucile. Li guardo impietrito. Essi stanno mangiando intorno alla tavola. Prendono il cibo con il cucchiaio di legno da una zuppiera comune. E mi guardano con i cucchiai di legno sospesi a mezz’aria… Vi sono anche delle donne. Una prende un piatto, lo riempie di latte e miglio, con un mestolo, dalla zuppiera di tutti, e me lo porge. Io faccio un passo avanti, mi metto il fucile in spalla e mangio. Il tempo non esiste più. I soldati russi mi guardano. Le donne mi guardano, i bambini mi guardano. Nessuno fiata. C’è solo il rumore del mio cucchiaio nel piatto. – Spaziba – dico quando ho finito. La donna prende dalle mie mani il piatto vuoto. – Pasausta – mi risponde con semplicità. I soldati russi mi guardano uscire senza che si siano mossi. Nel vano dell’ingresso ci sono delle arnie. La donna che mi ha dato la minestra, è venuta con me per aprirmi la porta e io le chiedo a gesti di darmi un favo di miele per i miei compagni. La donna mi dà il favo e io esco”.