“Sarò il sindaco di tutti!” E’ tempo ora del buon governo, quello che ha a cuore l’intera polis.

CULTURA

La campagna elettorale è finita, si dice. Ma non perché non debbano esserci polemiche e critiche, ma perché non è più il tempo di slogan e parole sfuggenti, passe – partout. Ora l’arena del confronto è il consiglio comunale.

Legalità, partecipazione… Forse occorre metterle da parte e governare dando corpo e sostanza a quelle parole. Legalità: certamente ci saranno strumenti di controllo e di osservazione, ma questa parola, senza citarla, deve divenire una pratica quotidiana, sensibilità diffusa, “gusto” per comportamenti di uguaglianza e rispetto verso tutti i cittadini.

I candidati sono cresciuti molto negli ultimi anni, ovunque. Uno specchio distorto della crisi politica e di rappresentanza. A Manfredonia intorno a 500. A Firenze l’assemblea generale era di 500 rappresentanti! Che ne sarà di questo piccolo esercito? I consiglieri sono 25. Sono gli “eletti”, i saggi, coloro che dovranno discutere e fare scelte importanti. Potranno coltivare l’immagine della politica come “alta forma di carità” o pensare che sia qualcosa di infido e melmoso. Devono, però, ricordare l’articolo 54 della Costituzione: “I cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle con disciplina e onore”. Onore, altra parola sfuggente.

Ad Atene e a Roma si discute, con passione e convinzione, di impegno e politica, ritiro e otium. Senofonte nel V secolo pone a confronto il suo maestro Socrate e il filosofo Aristippo: il primo vede il destino di ogni uomo nella polis, una scelta difficile, impegnativa, il secondo vede nella politica la pazzia, il male. Il confronto tra politica e antipolitica conosce a Roma la contrapposizione tra stoicismo – Seneca (l’imperativo è “impegnati in politica” – accede ad rem publicam) e l’epicureismo – Lucrezio (la regola è “tieniti lontano dalla politica” – recede a re publica). “Quando la vita ti viene a trovare” è un libro di Ivano Dionigi: parla di Seneca e Lucrezio (e Socrate ancor prima), che hanno richiamato la filosofia dal cielo, l’hanno portata nelle città, nelle case per interessarsi della vita, del bene e del male, del governo della polis.

A Roma la vita attiva o politica prevale sulla vita contemplativa o filosofica. Non il primato del conoscere (l’impegno intellettuale ed etico di Socrate), ma quello del fare, che si realizza nel governo della città. Ai politici, a coloro che hanno giovato alla patria, per Cicerone è riservato nei cieli un posto privilegiato. A Roma c’è la subordinazione del civis allo Stato e non c’è spazio per una religione fondata sulla coscienza individuale, la religione è strumento di governo, ha valore civile. Un tema, quello della religione civile, ancora oggi accarezzato da alcuni, per costruire l’identità della comunità, dare un senso alla politica.

A Roma la dimensione politica è dominante, pertanto si comprende perché gli epicurei, per i quali la scelta della vita contemplativa era assoluta e totalizzante, fossero considerati pericolosi. Nel 171 a. C. due filosofi epicurei furono espulsi da Roma, e in quegli anni una legge proibiva a filosofi e retori greci di fondare scuole e fermarsi a lungo nell’Urbe. Gli epicurei combattevano quattro paure: la morte, l’oltretomba, gli dei e gli altri. “Gli altri” (la folla, il popolo) sono l’inferno. Il “farmaco è il “vivere nascosto“, privilegiare l’amicizia, la solidarietà ristretta.

Ho per le istituzioni democratiche un gusto della mente, ma sono aristocratico per istinto, cioè disprezzo e temo la folla. Amo con passione la libertà, la legalità, il rispetto del diritto ma non la democrazia”. Sono parole di Alexis de Tocqueville, uno dei massimi studiosi, nell’Ottocento, della democrazia. Posizioni simili attraversano il Novecento e il mondo odierno. La democrazia è malata, la leadership dell’Occidente paralizzata. Di fronte alle nuove tremende parole (guerre, eccidi, pulizie etniche, odi, miserie…), scorgiamo, dietro i lustrini del Summit in Puglia, solo passerelle, leader impauriti, preoccupati della propria sorte, estranei al destino di popoli impoveriti e ostili. Biden confuso e immobile ricorda Breznev mummificato sulla Piazza rossa, segno dell’Urss che si spegneva.

“Sarò il sindaco di tutti”. Dice il Sindaco. La politica mostra le sue ragioni e la sua durezza, occorre comporre l’amministrazione con i “migliori”. Anche i gruppi più coesi mostrano lacerazioni impensabili. Le “competenze”, altra parola passe – partout, usata al plurale. Ma esistono davvero? O non dovremmo guardare a capacità da affinare nella quotidiana pratica amministrativa (imprevedibile) e da verificare periodicamente? Governare per il Bene comune. E quale? Si costruisce “patteggiando” nella suprema assise cittadina; spesso il confronto non è tra una ragione e un torto, ma tra due ragioni. Per farlo occorre superare e sacrificare cose importanti: amicizia, gruppi familiari, clientele… Che ne è dei cittadini, coccolati e vezzeggiati in campagna elettorale? E di quelli che non sono stati neppure sfiorati… zone grigie, indefinite, lontane dalla politica? Gli “eletti” saranno capaci di guardare all’intera città? O sentiranno solo il richiamo delle “famiglie”, dei gruppi amici?

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