L’Europa in guerra riscrive la storia. A Macron il premio della pace. Dayan, però, parla di Nakba.
Per fortuna ci sono le elezioni locali, che ci fanno assaporare un po’ il senso della democrazia. Capiamo almeno per cosa votiamo. Per quelle europee ci sentiamo disorientati.
A cominciare dal diritto di voto: in cinque paesi (Germania, Belgio…) partecipano anche i sedicenni, in Italia è tabù. Si vota in uno scenario completamente mutato. I temi ambientali fino a poco tempo fa centrali sono ignorati. Guardiamoci attorno. Si è trebbiato nel Tavoliere, dopo un anno di siccità. Alcuni hanno irrigato, con molte spese, ma la resa complessiva di grano è dimezzata. Gli invasi di acqua sono al di sotto del livello accettabile. Nei giorni scorsi grandinate rovinose nel foggiano, e situazioni ancora più gravi in altre parti d’Italia. Allarghiamo lo sguardo: India, Pakistan, Africa centrale… si arriva a 50 gradi e centinaia sono i morti… “Alterazioni climatiche ci sono sempre state!”, dicono sbrigativamente e infastiditi i tanti opinionisti che si sono trasformati in esperti di cose militari ed economia di guerra. La transizione ecologica è uscita di scena di fronte all’emergenza guerra.
In Germania, Macron ha ricevuto, il 28 maggio 2024, il premio “Pace di Vestfalia”. Saluta con il pollice alzato dallo storico municipio di Munster, accompagnato dal presidente della Repubblica tedesca, Steinmeier, che lo definisce un “appassionato europeo”, e auspica che tra Parigi e Berlino ci sia fronte comune perché non prevalgano le forze di estrema destra. Macron, ricevendo il premio, parla solo di armi e soldati a Kiev e Difesa europea, “perché la Russia potrebbe essere qui domani o dopodomani”.
La pace di Vestfalia, nel 1648, mise termine alla guerra dei trent’anni e alle guerre di religione in Europa. Uno dei periodi più sanguinosi e atroci della storia europea (è lo sfondo storico dei Promessi Sposi), con una popolazione dimezzata per guerre, peste, carestie. Furono necessari 4 anni di trattative, due accordi: con la delegazione protestante a Osnabruck, con quella cattolica a Munster. Cattolici e Protestanti si mantennero a distanza, non vollero incontrarsi, né stringersi la mano. Le due paci furono pubblicate insieme il 24 ottobre 1648. Fallita la riconquista cattolica, si affermò la libertà di coscienza nei territori germanici. Lunghi furono i negoziati per disinnescare le “passioni” dalla politica, evitare le guerre totali, cariche di odio, saccheggi, massacri indiscriminati. Da quella pace (l’ispiratore fu il grande giurista Ugo Grozio) nacque un nuovo ordine europeo e forme di relazioni internazionali che durarono fino alla I guerra mondiale. La pace valeva solo per l’Europa: il resto del mondo era “colonizzabile”. Le guerre si fecero ancora, ma le motivazioni religiose scomparvero.
L’onorificenza (premio 100.000 Euro) è nata nel 1998, si assegna biennalmente (ne hanno beneficiato Kofi Annan, Unicef…). Perché ora Macron? La motivazione esalta l’impegno per la cooperazione internazionale, il dialogo multiculturale, la difesa europea, ed anche per il coraggio di riforme “impopolari e necessarie”. La “laudatio” è tenuta da Ursula von der Leyen, che si candida al secondo mandato e della quale in questi giorni circola lo spot elettorale: musica epica, immagini di armi, aerei, lei che gira in Ucraina, giubbotto antiproiettile. Si promette solo il riarmo. Lo slogan: “Scegli un’Europa forte che osa agire“.
Sul periodico cattolico “Il Regno” è riportato un lungo articolo di Aluf Benn, direttore del quotidiano israeliano Haaretz (7. 02. 2024) sulla politica di Netanyahu e una guerra senza sbocco. Benn conclude citando il generale Moshe Dayan (quello con la benda sull’occhio sinistro). Ricorda un episodio dell’aprile del 1956. Capo di stato maggiore delle forze israeliane si reca in un kibbutz al confine di Gaza per il funerale di un giovane ebreo, ucciso mentre pattugliava i campi. “Non diamo la colpa agli assassini. Per otto anni sono rimasti inerti nei campi profughi di Gaza, mentre davanti ai loro occhi noi abbiamo trasformato in nostri possedimenti, le terre e i villaggi dove loro e i loro padri abitavano”. Dayan parla di Nakba (in arabo catastrofe). “I palestinesi non dimenticheranno la Nakba, né smetteranno di sognare di tornare nella loro terra”. Non era un sostenitore della causa palestinese. Era consapevole dell’ostilità degli arabi e della necessità di essere preparati e armati… Rispettava, però, quel sentimento di perdita, riconosceva le ragioni degli avversari.
“Terribili in guerra”, ma convinti che una convivenza fosse necessaria, i generali israeliani (Dayan, Rabin, Sharon, Barak, Gants..) l’hanno cercata, quando ad essi il popolo si è rivolto per trovare percorsi di pace. Anche nel conflitto ucraino, il capo di Stato maggiore americano (Mark Milley), già nel novembre 2022 , disse che il conflitto sarebbe stato lungo e doloroso ed occorreva un negoziato. E’ ricorrente l’immagine dei “pacifisti sul divano”, ma questa immagine non è più appropriata ai “bellicisti” che propagandano la guerra senza conoscerla? A leader europei che hanno appiattito l’Ue sulla Nato e riscrivono (come nel recente d – day) strumentalmente e volgarmente la Storia?