Berlinguer e Tolkien. Due mostre in contemporanea. E in mezzo c’è Atreju.
Non sono passati molti anni da quando si diceva che la cultura o era a sinistra o non c’era. Lo riconoscevano anche gli avversari: gli intellettuali non potevano non essere di sinistra.
A destra c’era solo tradizionalismo e nostalgia del passato; persino quando si parlava di violenza dei neri e dei rossi, si sosteneva che i fascisti sono pericolosi perché hanno dietro le forze della reazione, mentre i cosiddetti “maoisti” sono animati da idee “non spregevoli, ma utopistiche” (Nenni, Scalfari…). Siamo nei turbolenti anni settanta: quando i fascisti (“topi di fogna”) si rifacevano a una tradizione recente e disastrosa per il nostro Paese; mentre la sinistra si scaldava al sol dell’avvenire.
Invece anche a destra c’era inquietudine. Davanti a fenomeni nuovi (radio libere, indiani metropolitani, prime battaglie ecologiste…) ci si interroga. I campi Hobbit nacquero come laboratori del pensiero alternativo in un momento in cui tritolo e piombo laceravano la vita sociale e politica. Il primo a Montesarchio (Benevento), 11 giugno 1977. In quegli anni Il Signore degli anelli penetra nella cultura italiana e si verifica una anomalia: l’opera che ha avuto un notevole successo tra il movimento hippie e i figli dei fiori negli Usa, in Italia è snobbata. A sinistra si parla di romanzo esoterico, reazionario, e Tolkien è poi un cattolico tradizionalista! Nei campi Hobbit, invece, la sua opera è presentata come “il breviario dei ribelli, disperati, emarginati… Delusi dalle contraddizioni del progresso, giovani di destra e di sinistra, anarchici, contestatori, vi ritrovano una profonda aspirazione ideale al cambiamento, alla costruzione di un mondo diverso” (Marco Tarchi). La destra si appropria così dell’opera più geniale del XX secolo.
Ne Lo Hobbit e nel Signore degli anelli non vi è nulla di originale: simboli etnie, oggetti, personaggi… Tolkien si diverte a inventare lingue che hanno un sapore primitivo e primordiale, il tono oscillante tra aulico e popolare. In lui c’è tutto: echi biblici, Omero, ciclo di Artù, mitologie finniche, Ossian e riferimenti al folclore celtico, la compresenza di registri comici e tragici, lealtà cavalleresca ed erotismo… e dentro si fondono orchi, draghi, demoni, hobbit, elfi… Autore esoterico? E’ invece un autore universale. Su Tolkien (1892 – 1973) si è aperta a Roma il 16 Novembre una mostra ampia e completa: il percorso umano, accademico, la potenza narrativa e poetica, che ha alla base la straordinaria conoscenza del mondo antico.
Il 15 dicembre si apre a Roma un’altra importante mostra: I luoghi e le parole di Enrico Berlinguer (1922 – 1984). Le due mostre chiudono entrambe l’11 febbraio, e non si potrà non fare un confronto. Ci sarà poco spazio per la commemorazione (e commozione); molti gli spunti e le idee. C’è la famiglia, il dirigente, le relazioni… ma soprattutto la crisi italiana: problema energetico e austerità, compromesso storico, il governo delle città, il terribile 1977, l’assassinio di Moro. Le battaglie di quegli anni per allargare i diritti e la cittadinanza e la costruzione di un moderno Stato sociale: nuovo diritto di famiglia, divorzio, consultori, riforma sanitaria, legge Basaglia… Sono gli anni delle stragi e del terrorismo, e dei veti americani (per l’ingresso dei comunisti nel governo) opposti a un Moro trattato da Kissinger come uno scolaretto negligente.
Verso la fine del decennio si eclissa la centralità della classe operaia, cambia la fabbrica, tramonta l’idea di un compromesso tra le grandi forze popolari e democratiche per governare l’Italia, svanisce l’eurocomunismo. C’è, però, un ultimo Berlinguer, quello che riapre il dialogo con la socialdemocrazia, incontra più volte Willy Brandt. La carta per pace e lo sviluppo prende forma nel 1979, in una fase che vede la crisi della distensione, la corsa al riarmo, il crescente impoverimento dei paesi sottosviluppati. E poi c’è un’intervista del dicembre 1983 sulla profezia di Orwell nel libro “1984”. Berlinguer parla delle nuove sfide: il pericolo del fanatismo (Komeini e non solo), le ventate dei nazionalismi, l’uso di nuove espressioni assolute (l’impero del male). “Siamo di fronte a una vera e propria crisi del mondo”. Dice di aver proposto alla federazione giovanile comunista convegni di futurologia. Non solo per parlare di economia e industria, ma per incontri che mettano insieme studi e analisi in ambiti diversi: scienze fisiche, biomediche, antropologiche, demografiche, informatiche… “E’ necessario investire in tempi lunghi. Una Utopia sui tempi lunghi”. Per Berlinguer Orwell sbagliava. Non nasconde il ritardo degli intellettuali e della cultura che alimentano timori sui cambiamenti e le nuove tecnologie e non vedono le forme di arricchimento delle coscienze.
Tra le due mostre si incunea oggi a Roma la festa di Atreju. E’ l’eroe ragazzo che deve combattere contro il Nulla, il nemico che sta distruggendo il regno di Fantàsia. Si è ripetuto con la Storia infinita di Michael Ende il medesimo copione. Accostato a Tolkien, di lui i critici tedeschi parlano di “effetto placebo”, in Italia parlano di svago ricreativo contro una realtà che mette disagio. A nulla valgono le proteste di Ende: Non dico di rifugiarsi nei sogni, ma di affrontare la realtà con la fantasia, l’immaginazione. E pure Atreju diviene di destra.