”C’è ancora domani”. Un film che ha sorpreso. Parliamone oggi dopo la giornata antiviolenza.
Ho visto il film all’ultimo giorno di programmazione a Manfredonia. Pensavo di trovarmi in sala con poche persone. Invece era piena. Al termine un lungo applauso. Poi, a grande richiesta, resta a lungo in programmazione.
Il film di Paola Cortellesi è piacevole, simpatico, semplice, gentile… La storia di una donna a Roma, nel dopoguerra. Delia vive un rapporto difficile, umiliante con il marito acuito dalla miseria. E’ sapiente nell’arte di arrangiarsi e nell’amministrare, ha qualche amicizia, riceve qualche complimento, un po’ di complicità con qualche amica. Poi una lettera, che conserva con cura…
La proposta di andare via, scappare, lasciare e ricominciare altrove? Tutti si aspettavano o temevano che facesse questo salto. E invece? Quella lettera perduta e ritrovata non era un biglietto riservato o un appuntamento. Era la scheda elettorale. E pensare che fino alla conclusione non si vede nessun movimento di gente, di popolo, nessuna presa di coscienza collettiva. Delia matura tutto dentro di sé. In fila per il voto è felice, ingenua e ammiccante con la figlia che la raggiunge. E il marito che era andata per riportarla a casa, è costretto ad allontanarsi.
Qualcuna ha parlato di famiglia patriarcale. Ora tutto il male viene da lì! La famiglia patriarcale è un concetto sociologico per descrivere l’organizzazione familiare nella società agricola e pastorale. Con molte variazioni. Scompare con la cultura urbana, dove sopravvive come farsa o tragedia. E’ quella dei Malavoglia di Verga, dell’Albero degli zoccoli di Olmi… Era del mondo contadino nel dopoguerra. Era la famiglia pensata nella Riforma agraria dei primi anni ’50, segnata dalla divisione del lavoro: l’uomo con gli animali, i campi… la donna a governare la casa, e ci voleva sapienza quotidiana, cura, programmazione. Mi chiedo ancora oggi, come facessero le donne con 5 0 6 bambini piccoli senza frigorifero o negozi di generi alimentari… Tutto si ricavava dalla terra, tutto si conservava, e poi gli animali da cortile. Un forno ogni quattro poderi, il pane durava una settimana. Era difficile, ma non mancavano i momenti di incontro, le feste… C’era un sistema di valori, la parola data, l’impegno, la donna “valeva”. Erano quasi tutti comunisti, ci si incontrava a messa, e a Natale e Pasqua partecipavano tutte le famiglie. Ricordo una discussione sulla coscienza. “Tu torni a casa e maltratti tua moglie… e poi ti viene lo scrupolo, ecco quella è la coscienza…” E lì c’era uno che era violento, ascoltava… Tutti lo sapevano, anche noi ragazzi delle elementari, e quelli poco più grandi di noi dicevano che certe cose non si fanno.
Il patriarcato non c’entra con le microviolenze quotidiane che Delia subisce da Ivo, il marito fascistello, che ricorre ai consigli del vecchio padre che palpeggia la nuora, e al figlio dice come deve comportarsi: menarla una volta e per bene e non un poco al giorno.
Delia è felice sulla scalinata che la porta in cabina elettorale, ritrova non l’amica complice ma una comunità. Recupera l’affetto della figlia, che si era fidanzata, “un bravo ragazzo”, un buon partito, invidia delle vicine, una famiglia benestante, che usciva in parata… Ma Delia comprende che il genero sarebbe stato peggio di Ivo. Lei sa vedere oltre le apparenze. E dopo che sarà di Delia? Quella voglia di partecipare sarebbe venuta meno? Forse avrà imparato a rispondere a quelli che la pagavano di meno, perché femmina… Avrà sicuramente detto al marito che quel rituale delle botte è finito con la morte del padre. Forse parteciperà alle prime riunioni politiche. Nel dopoguerra i partiti hanno traghettato le plebi verso la democrazia.
I vent’anni successivi sono stati euforici e travolgenti. Vent’anni di boom economico, il miracolo, arricchimento, abusivismo, sfruttamento, giustificato dalla Ricostruzione. 25 milioni di italiani cambiano residenza, 10 milioni regione. Il Paese cresce diseguale, e muta.
I fatti e le parole di questi giorni… mi fanno venire in mente i fatti del Circeo. Due ragazze seviziate e torturate. Allora interveniva Pasolini che voleva processare la Dc: colpevole di aver privilegiato beni e consumi privati rispetto a beni pubblici; c’erano più soldi, ma il paese era più violento. Ai Parioli e nelle periferie la stessa cultura del prendersi tutto ciò che piace.
Ma dopo quegli anni, frutto del ’68, ci fu una rivoluzione. C’erano le bombe, lo stragismo, il terrorismo, eppure in cinque sei anni: nuovo diritto di famiglia, parità dei coniugi, divorzio, legge Basaglia, tutela delle lavoratrici madri, scuola materna pubblica, organi collegiali a scuola. I piani regolatori, l’obiezione di coscienza, il referendum, le regioni… Mai visto una cosa del genere, e dietro ci sono le donne. Il femminismo, che ha tante voci. Proprio a Roma nel 1970 esce un manifesto: il modello per noi non è l’uomo. Firmato “Rivolta femminile”. Carla Lonzi parla di autocoscienza. Le donne rifiutano di essere gli “angeli del ciclostile”, scelgono di fare i cortei da sole, proprio dopo i fatti del Circeo. A Manfredonia, in quel periodo, si apre la battaglia del “Consultorio”. Alla Perotto assemblee con cento – duecento donne: hanno compreso che le conquiste di quegli anni sono come i pesci: hanno bisogno dell’acqua . E l’acqua è la partecipazione. Il femminismo è una rivoluzione da cui non si torna indietro. Gli uomini devono provare a esprimere una virilità non associata a dominio o potere. Ed allora… quale patto nuovo tra donne e uomini basato sul rispetto, la dignità, il desiderio dell’altro in uno scambio tra pari?