A piedi si conosce la città. Un esercizio fisico e civico, necessario a chi vuole governarla.
Il pedone è estinto. Ci sono i camminatori: si muovono in percorsi obbligati, e non si possono fermare. E se poi li fermi ti girano attorno saltellando, guardando una specie d’orologio (contapassi).
L’esperienza del pedone è quella lenta, di chi si guarda attorno e vede il ricco, imprevedibile, persino confuso e sporco vissuto delle strade. La città non è quella del turista: musei, palazzi, attrazioni organizzate. La città è quella che si conosce andando in giro a piedi, a zonzo, ed è costruita non solo con la vista, che assicura oggettività e fruizione della bellezza. Ci sono pure gli altri sensi, che possono farci percepire senza filtro aspetti anche sgradevoli. Sensazioni comunque personali che ci fanno apprezzare un luogo, suscitano ricordi ed emozioni, lasciano affiorare abitudini e tradizioni.
Pensiamo al tatto e a quanto sia importante per i bambini toccare con la mano i monumenti, un muretto, le statue. Le superfici incavate e lisce di pezzi scultorei davanti alle chiese (S. Domenico, S. Leonardo...) derivano da mani che hanno toccato, accarezzato. Un vecchio contadino mi ha detto che sfiorare mura antiche, prendere in mano antichi oggetti… è sentire il tempo, la presenza nascosta e silenziosa di coloro che li hanno costruiti e utilizzati.
Non c’è niente che definisca la modernità come i rumori: quello in particolare del traffico urbano. Ma i rumori possono essere un segno piacevole della presenza umana. Leopardi gira annoiato per le vie di Roma e trova familiare il quartiere di Trastevere, che “risuona dello strepito dei telai e di altri tali strumenti, e del canto delle donne e degli operai…”. La città nel silenzio della notte, quella dell’alba, è bella, ma lo è anche quella con le voci, le persone che si parlano, i bambini che vanno a scuola, gli adolescenti che intorno a una panchina danno un senso sociale a un piccolo spazio abbandonato.
Per le strade si sente l’odore dei mercati, il vocio e le urla di richiamo dei venditori… Non si “sente” più il pesce arrostito davanti alle case a piano terra. Si dice che le stagioni non si distinguono più per la diversità degli odori, Lucio Dalla, però, parlava del profumo del mare e delle alghe nel porto, in autunno. Per molti a Manfredonia l’estate è l’odore della salsedine nei pressi del castello, un odore aspro e quasi scomparso, che derivava forse dalle cabine di legno impregnate di acqua e umidità marina. Le città di mare non hanno odori piacevoli e carezzevoli, sono aspri, intensi, mutevoli, fastidiosi.
“Ah l’odore, l’odore di Firenze, ogni città ha un suo particolare odore” – “Ed è un odore gradevole?” -chiese Lucy. “Non si viene in Italia in cerca di cose gradevoli, si viene in cerca della vita” (Forster, Camera con vista). C’è un odore delle città? Nelle città contemporanee segnate da una ricerca di visibilità e competizione, si è alla scoperta di luoghi tipici con aromi, essenze da valorizzare. Negli ultimi decenni sempre più le città sono sterilizzate e asettiche. L’uso diffuso dell’aria condizionata porta a chiudere imposte e finestre che garantiscono anche l’impermeabilità a suoni e odori. E per trovarli occorre uscire fuori, come mi dice un amico di Mattinata, che nei sentieri intorno raccoglie capperi, origano, rosmarino, camomilla…
Oggi le strade sono prive di bambini, di madri e bambini, di anziani che a piedi si spostano per fare visita a un amico, un parente… scegliendo pure il giro più lungo (Ah, dimenticavo le isole pedonali!). Si parla oggi della città sostenibile, a 15 minuti… Ed è solo uno slogan.
La città è stata il luogo in cui i diritti (libertà, democrazia…) si sono incarnati e la città è tale quando i suoi abitanti, i cittadini appunto, qualunque sia la loro attività, istruzione, reddito, si possono muovere liberamente e incontrarsi casualmente o ritualmente (cortei, manifestazioni, feste) nelle sue vie . E’ costata molta fatica liberare le città dai ghetti, aree protette e riservate. La democrazia, diceva John Dewey, comincia nelle conversazioni, quelle informali, per strada. Sono scomparse. Forse è per questo che il dibattito pubblico è così scadente? L’esperienza del pedone coglie l’essenza vitale e imprevedibile di una città, mette in discussione l’ovvio della quotidianità. E’ necessaria a chi governa e dovrebbe essere praticata da tutti, e sostenuta.
Le città oggi smettono di essere democratiche, e questo avviene nelle periferie urbane, là dove ci sono ville e aree residenziali separate e isolate da barriere alte due metri, spazi pubblici occupati, e soprattutto là dove le vie sono occupate dalle auto (cioè ovunque). Siamo scivolati in un’altra idea di città. Quella della tana, curata e difesa, e fuori c’è solo il nemico.