“Dio è morto… ma poi risorge”. La canzone che piaceva a Paolo VI e non alla Rai.
Nel Sessantotto e dintorni sono scritte due canzoni, discusse, contestate, che hanno costituito il commento musicale a un periodo carico di idee, sogni, passioni.
“Dio è morto” di Francesco Guccini. Una canzone di protesta. Ispirata all’urlo di Allen Ginsberg. Ritenuta blasfema, la Rai non volle trasmetterla. Il contrario fece “Radio Vaticana”, pare piacesse al Papa.
Ai bordi delle strade, Dio è morto… Questa generazione non crede più nelle falsità mascherate con la fede: i miti eterni della patria o dell’eroe… La politica che è solo far carriera, il perbenismo interessato, la dignità fatta di vuoto, l’ipocrisia di chi sta sempre con la ragione e mai col torto. Dio è morto. Si apre un mondo nuovo, una speranza, una rivolta senza armi, perché noi sappiamo che se Dio muore è per tre giorni, poi risorge, In ciò che noi crediamo Dio è risorto; in ciò che vogliamo Dio è risorto; in ciò che faremo Dio è risorto“. Diviene l’inno dei cristiani che vivono la stagione post conciliare, un tempo di profondi cambiamenti sociali, contestazioni e speranze.
A Parma occupata la Cattedrale (protesta contro la costruzione di una nuova chiesa finanziata da una banca locale). “Cristo è onorato dalla presenza di persone che riversano le loro pene e reclamano diritti”, così l’arcivescovo Pellegrino a Torino quando 150 operaie occupano una chiesa. A Firenze la comunità dell’Isolotto chiede che la chiesa si schieri con i poveri. In quel periodo nascono numerose comunità destinate poi a crescere: S. Egidio, Gioventù studentesca, Comunione e liberazione, gruppo Abele, Serming (arsenale della pace), Bose, Focolarini…
Numerosi gruppi cattolici e cristiani vivono da protagonisti il nuovo clima, esprimono una forte spiritualità evangelica e criticano il sistema capitalistico, l’autoritarismo, il carrierismo, il consumismo. Interpretano in maniera radicale la “Populorum progressio“, sono sensibili alle esperienze dei “movimenti” nel terzo mondo e alla teologia della liberazione. Coltivano il mito di Camilo Torres. Non si tirano indietro sul tema che impegna i giovani in tutta l’Europa: come costruire un mondo nuovo? In Germania Rudy Dutschke: “Noi possiamo farcela… a costruire la pace ed eliminare la fame dal mondo”.
Nelle parrocchie di questa diocesi (come ovunque): campi scuola (a Spello, Assisi…), cineforum, recital, gruppi di impegno, dibattiti continui. I sit in per la morte di Luther King, Bob Kennedy, i carri armati a Praga… Precetti pasquali con letture di brani scelti dagli studenti… Cambiare prima l’uomo o la struttura? Questa la domanda ingenua sempre presente. Inesperienza, incoscienza? A Rudy il rosso, mentre va a comprare le medicine per il figlio, un giovane neonazista spara tre colpi in testa. A Milano, Roma, Padova… un 1969 di attentati. E poi la strage di piazza Fontana. E’ la fine dell’innocenza.
L’altra canzone è quella del milanese Enzo Jannacci. Vengo anch’io. No tu no… . “Si potrebbe andare tutti quanti allo zoo comunale / vengo anch’io. No, tu no./ Per vedere come stanno le bestie feroci / e gridare aiuto aiuto è scappato un leone/ per vedere di nascosto l’effetto che fa“. Sembra una canzoncina per bambini. In ogni gruppo ci sono alcuni di cui si ride, ma che non ridono, né possono partecipare. “Si potrebbe sperare tutti in un mondo migliore, vengo anch’io… Dove ognuno sia già pronto a tagliarti una mano, un bel mondo solo con l’odio ma senza l’amore e vedere di nascosto l’effetto che fa..“. Parla, in forma paradossale, di emarginazione, esclusione. La condizione dei meridionali allora nel Nord.
Il testo presentava altre due strofe, scritte da Iannacci e Dario Fo. Due strofe “politiche”. La prima: “Si potrebbe andare tutti in Belgio nelle miniere / a provare che succede se scoppia il grisù / venir fuori bei cadaveri con gli ascensori / portati su nella bandiera tricolor”. La seconda: “Si potrebbe andare tutti insieme nei mercenari, / giù nel Congo da Mobuto a farci arruolare / poi sparare ai negri col mitragliatore / ogni testa danno un soldo per la civiltà”. Il riferimento è al disastro minerario di Marcinelle del 1956 (morirono 262 minatori in gran parte italiani), e all’Africa dove i dittatori post coloniali assoldavano mercenari. Due strofe provocatorie, censurate, mai cantate.
Oggi circolano altre due strofe. “Si potrebbe andare tutti giù nella Libia / Vengo anch’io? No tu no… / E provare un po’ di salutare tortura / imbarcarsi in barconi uomini e donne / e vedere di nascosto l’effetto che fa”. La seconda. “Si potrebbe andar tutti là sul satellite / Vengo anch’io?… / osservare dall’alto la guerra ucraina / dove si provan armi nuove e un po’ nucleari / e vedere di nascosto l’effetto che fa”. L’Europa, l’Occidente guardano gli immigrati, guardano la guerra. Oggi, però, Domenica delle Palme, nei giornali si parla di diplomazie al lavoro, incontri multilaterali… Per negoziati? Ukraine Recovery Conference. E’ Il grande business della ricostruzione!