La guerra. Come finirà? Forse in Risiko c’è qualche elemento di chiarezza.
Celebrare ricorrenze e anniversari è importante per ogni individuo e per tutte le nazioni. “Una bella e amabile illusione”, dice Leopardi.
Quello del 24 febbraio è uno strano anniversario, l’inizio di una guerra che non si conclude e sul campo non si intravede alcuna vittoria. I media occidentali riportano che per l’Ucraina è stato “l’anno furioso dell’invincibilità”. Nel 2023 certa è la vittoria, per un popolo di eroi, forte, compatto, che “ha sorpreso, ispirato, unito il mondo” (Zelensky). Nel campo russo si sottolinea invece l’incertezza, la delusione, le difficoltà. A parte c’è un terzo soggetto: i paesi donatori (armi). Sono freddi, calcolatori, cinici.
Nei giorni scorsi, a Pisa, visito una piccola libreria, in un angolo libri in caratteri cirillici, un uomo li sfoglia, poi esce con un paio. L’avevo visto la mattina davanti a una scuola elementare, accompagnava una bambina, sembrava guardarsi attorno sospettoso… Parlo col libraio di politica (a Pisa si vota in primavera) e chiedo di quei libri. “E’ un profugo ucraino, me li chiede da leggere. E’ venuto appena scoppiata la guerra… Obiettore di coscienza?… So che non vuole schierarsi né con l’una né con l’altra parte. Ha 4 figli. Una situazione difficile. Ha paura. Ha saputo che alcuni sono stati convinti o costretti a ritornare… la guerra è la guerra!”. Nei discorsi pubblici non si parla dei profughi, né degli anziani che sanno di non poter ritornare, dei vecchi che restano e rifiutano di allontanarsi. Se pure la guerra terminasse domani, la ricostruzione immediata… il loro mondo è scomparso per sempre.
Assistiamo a modalità nuove di fare la guerra, a nuove forme della politica mondiale, con l’assenza della diplomazia e inondazioni quotidiane di parole che tagliano tutti i ponti. Una guerra sostenuta da centri studi, uffici di politica internazionale, sorti come funghi, e dai grandi giornali e network, che deridono, catalogano (“putiniano”) ogni dubbio o idea diversa. Ma nel Sud del mondo, scrive Pankaj Mishra, la percezione è diversa, non c’è simpatia per i russi, ancor meno per l’Occidente. Non dimenticano il colonialismo, il sostegno ai dittatori, le guerre “interessate” che hanno lasciato milioni di morti e paesi distrutti (Congo, Libia, Iraq, Afghanistan… )
In questa tragedia, c’è uno spazio di riflessione? Ricordo gli anni settanta: c’era tanto “terzomondismo”, Vietnam, America Latina… Un mio collega, docente di filosofia a Monte S. Angelo, adottò il libro di Kant “Per una pace perpetua”. Una scelta controcorrente e gli studenti si appassionarono a quel piccolo libro. Nelle pagine del filosofo di Konigsberg (allora città prussiana, ora russa) si trovano le linee di un progetto filosofico audace. Non un patto di pace dopo un conflitto, ma una “pace perpetua”, che può esserci se la politica si subordina alla ragione, non alle pressioni economiche, se accoglie i fondamenti della moralità (solidarietà, uguaglianza, dignità) e tiene a bada l’egemonia del capitale. Per Byung Chul Han, un’opera di grande attualità: ci ammonisce che L’Europa sarà solo un “emporio” se non recupera i valori dell’ospitalità. Oltre Kant, c’è Erasmo, Capitini, don Milani…
In quel periodo i cattolici del dissenso riscoprivano la “Pacem in terris” (1963) e il discorso di Paolo VI all’Onu (4 ottobre 1965), nel quale pone l’urgenza che il “principio della pace” sia posto alla base delle Nazioni Unite. All’Onu spetta il compito di educare l’umanità alla pace, che si costruisce con la politica e gli equilibri tra Stati, ma anche con idee e opere. In quell’intervento breve e di rara efficacia chiese di passare dalla coesistenza pacifica ad una collaborazione fraterna.
C’è stata un’aggressione chiara, ma nessuno degli attori sa immaginare come la guerra potrebbe chiudersi. Si poteva evitare, questo sì. Le posizioni più pragmatiche sono sostenute dai generali. I capi di Stato Maggiore Usa e Italia hanno dichiarato che non potrà esserci una soluzione militare. L’ammiraglio italiano Giuseppe Cavo Dragone fa affermato che occorre fare un esame di coscienza per verificare se si potevano dare risposte che avrebbero evitato un conflitto atroce.
Il piano cinese: principi e obblighi umanitari, difesa dei civili. Sospendere il conflitto e trattare. Un inizio per non precipitare. Si apre qualche spiraglio… poi l’UE (Borrell) esprime il rifiuto più netto. Per lui obiettivo è sconfiggere la Russia e recuperare tutti i territori (anche la Crimea). Una posizione grave, senza alcun dibattito nei parlamenti nazionali,
Ho giocato nei giorni scorsi per la prima volta a Risiko. Inventato a metà anni Cinquanta. Il campo di guerra è il mondo: 6 continenti e 42 territori. Pochi paesi con il loro nome. Spicca l’Ucraina al Centro, un enorme territorio dai mari del Nord ai Balcani. La Russia non esiste più. E’ questo il sogno di Borrell e Zelensky?